In Siria ancora violenze. Mons. Tomasi: prezzo più alto pagato dai bambini
In questi giorni all’Assemblea Generale dell’Onu, come abbiamo sentito, attenzione
puntata sulla crisi siriana. Varie le voci che hanno chiesto ieri l’intervento militare,
per fermare le violenze inaudite che in questi giorni stanno insanguinando il Paese
mediorientale. Sentiamo Marina Calculli:
Due autobombe
hanno colpito ieri la sede dello Stato Maggiore dell’esercito nel cuore di Damasco,
mettendo a nudo ancora una volta la fragilità dell’apparato di sicurezza del regime.
E forse proprio per contenere l’imbarazzo l’esercito ha prontamente dichiarato che
“tutti gli ufficiali sono rimasti illesi” mentre secondo un’altra fonte sarebbero
4 i militari uccisi assieme a un giornalista iraniano, una reporter della tv di stato
siriana e altri 14 civili. L’attentato è stato rivendicato da un gruppo jiadista,
Tajamoo Ansar al-Islam. Secondo l’Esercito siriano libero però tre delle proprie brigate
avrebbero partecipato all’operazione – un comunicato che aumenta l’ambiguità del legame
tra l’opposizione armata e gli estremisti islamici. Nel resto del paese gli scontri
hanno provocato decine di morti in diverse città. Dall’Assemblea generale dell’ONU
intanto il presidente tunisino fa eco alle parole dall’emiro del Qatar ribadendo che,
“fallita la diplomazia è necessario adesso un intervento militare”. D’accordo sul
principio ma contrario all’intervento estero è stato invece il presidente egiziano
Mohammed Morsi.
La guerra civile in Siria, oltre a morte e distruzione, sta
portando, dunque, anche una enorme emergenza umanitaria. Della situazione di civili,
bambini e minoranze e del ruolo della comunità internazionale Fausta Speranza ha
parlato con l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della
Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra:
R. – Anzitutto,
direi che bisogna mettere la questione della violenza contro i bambini nel contesto
generale della crisi che vediamo in Siria. Questa crisi sta peggiorando e la continuità
della violenza tocca in modo particolare, fa pagare il prezzo più alto ai bambini.
Le agenzie di assistenza umanitaria presenti sul terreno ci dicono, appunto, che ci
sono delle situazioni orribili. Per esempio, sia da parte dei ribelli che da parte
dell’esercito, viene detto che in alcuni casi i bambini sono stati usati come scudo
umano in modo da poter avanzare verso obiettivi militari immediati, e alcuni bambini
sono stati uccisi. Secondo: ci sono circa 280 mila rifugiati nei Paesi limitrofi alla
Siria e in alcuni di questi campi, come in Giordania, più del 50 per cento delle persone
presenti – oltre 30 mila – sono minorenni; inoltre, ci sono centinaia di minori non
accompagnati che sono abbandonati in questi campi, che non sanno cosa fare durante
il giorno e che portano il peso di esperienze traumatiche: hanno visto membri della
loro famiglia uccisi, sono stati sotto bombardamenti, hanno visto corpi dilaniati
sulle strade … Davanti a questa realtà è certo che la comunità internazionale deve
cercare di dare una mano …
D. – A proposito della comunità internazionale:
sembra proprio che ci si sia fermati in uno stallo disperante…
R. – In questo
momento, anche secondo le parole del segretario generale delle Nazioni Unite, non
c’è una volontà politica chiara da tutte le parti per mettere termine alla violenza
in Siria. Anzitutto, si è d’accordo sulla futilità della guerra e del conflitto come
si sta sviluppando in questi mesi, e i risultati sono veramente drammatici: tra 20
e 30 mila morti, 260-280 mila rifugiati, 1 milione e 200 mila sfollati interni al
Paese; circa due milioni e mezzo di persone – secondo le valutazioni delle Nazioni
Unite – hanno bisogno di assistenza umanitaria per sopravvivere. I risultati della
violenza e della guerra sono ben visibili e documentati. Nonostante questo, ci sono
interessi politici forti da varie parti, che bloccano la possibilità per il momento
di arrivare a sedersi attorno ad un tavolo e smettere la violenza e incominciare a
negoziare una transizione politica che possa veramente rispettare gli interessi di
tutte quelle minoranze – curdi, cristiani, sunniti, sciiti, drusi, alawiti – che sono
i gruppi che compongono la Siria e che finora erano andati avanti con un certo equilibrio
e in pace tra di loro. Quindi, dobbiamo pregare e dobbiamo veramente incoraggiare
in tutti i modi possibili l’apertura di un dialogo, in modo che si ponga fine a questa
violenza e che i bambini possano tornare a scuola e a crescere normalmente, invece
di essere le vittime di questa tragedia.