Siria. Bombe contro sede Stato maggiore. Mons. Tomasi: prezzo più alto pagato dai
bambini
Ancora violenza a Damasco: un giornalista iraniano e un numero imprecisato di persone
sono morte in seguito agli scontri scoppiati ieri dopo le due esplosioni presso la
sede dello Stato maggiore delle forze armate nel centro moderno di Damasco. Inoltre,
oltre 60 corpi senza vita, tra cui donne e bambini, e con segni di spari di arma da
fuoco o di ferite di arma da taglio sono stati rinvenuti a Dhiyabiya e a Barze, località
nei pressi di Damasco. Intanto dall’Assemblea generale dell’Onu in corso a New York
il presidente francese Hollande chiede che le Nazioni Unite proteggano le zone “liberate”
della Siria. Della situazione umanitaria di civili, bambini e minoranze e del ruolo
della comunità internazionale Fausta Speranza ha parlato con l’arcivescovo
Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio
Onu di Ginevra:
R. – Anzitutto,
direi che bisogna mettere la questione della violenza contro i bambini nel contesto
generale della crisi che vediamo in Siria. Questa crisi sta peggiorando e la continuità
della violenza tocca in modo particolare, fa pagare il prezzo più alto ai bambini.
Le agenzie di assistenza umanitaria presenti sul terreno ci dicono, appunto, che ci
sono delle situazioni orribili. Per esempio, sia da parte dei ribelli che da parte
dell’esercito, viene detto che in alcuni casi i bambini sono stati usati come scudo
umano in modo da poter avanzare verso obiettivi militari immediati, e alcuni bambini
sono stati uccisi. Secondo: ci sono circa 280 mila rifugiati nei Paesi limitrofi alla
Siria e in alcuni di questi campi, come in Giordania, più del 50 per cento delle persone
presenti – oltre 30 mila – sono minorenni; inoltre, ci sono centinaia di minori non
accompagnati che sono abbandonati in questi campi, che non sanno cosa fare durante
il giorno e che portano il peso di esperienze traumatiche: hanno visto membri della
loro famiglia uccisi, sono stati sotto bombardamenti, hanno visto corpi dilaniati
sulle strade … Davanti a questa realtà è certo che la comunità internazionale deve
cercare di dare una mano …
D. – A proposito della comunità internazionale:
sembra proprio che ci si sia fermati in uno stallo disperante…
R. – In questo
momento, anche secondo le parole del segretario generale delle Nazioni Unite, non
c’è una volontà politica chiara da tutte le parti per mettere termine alla violenza
in Siria. Anzitutto, si è d’accordo sulla futilità della guerra e del conflitto come
si sta sviluppando in questi mesi, e i risultati sono veramente drammatici: tra 20
e 30 mila morti, 260-280 mila rifugiati, 1 milione e 200 mila sfollati interni al
Paese; circa due milioni e mezzo di persone – secondo le valutazioni delle Nazioni
Unite – hanno bisogno di assistenza umanitaria per sopravvivere. I risultati della
violenza e della guerra sono ben visibili e documentati. Nonostante questo, ci sono
interessi politici forti da varie parti, che bloccano la possibilità per il momento
di arrivare a sedersi attorno ad un tavolo e smettere la violenza e incominciare a
negoziare una transizione politica che possa veramente rispettare gli interessi di
tutte quelle minoranze – curdi, cristiani, sunniti, sciiti, drusi, alawiti – che sono
i gruppi che compongono la Siria e che finora erano andati avanti con un certo equilibrio
e in pace tra di loro. Quindi, dobbiamo pregare e dobbiamo veramente incoraggiare
in tutti i modi possibili l’apertura di un dialogo, in modo che si ponga fine a questa
violenza e che i bambini possano tornare a scuola e a crescere normalmente, invece
di essere le vittime di questa tragedia.