Parte un'indagine scientifica per studiare il rapporto tra carcere e recidiva
"Abbattere la recidiva è l’unico modo per affrontare sistematicamente il tema della
carcerazione ", ne è convinta il ministro della Giustizia, Paola Severino che ieri,
a Roma, ha presentato l’avvio di uno studio su quanto e in che misura i diversi tipi
di espiazione della pena incidono sulla ricaduta nel crimine. La ricerca sarà condotta
dall'Istituto Einaudi per l’Economia e la Finanza, dal Crime Research Economic Group
e dal “Sole 24 Ore”. Il servizio di Adriana Masotti : Chiudere
in carcere chi commette un reato non garantisce sempre maggiore sicurezza alla collettività:
lo dicono i dati finora a disposizione, ma c’è bisogno di un’indagine rigorosamente
scientifica per convincere chi di dovere, ma anche l’opinione pubblica, a scelte diverse:
da qui l’avvio dell’indagine presentata oggi. Daniele Terlizzese, direttore
dell’Istituto Einaudi:
R. - La recidiva è sicuramente un fenomeno di grande
rilevanza. Dalla possibilità di ridurre il ripetersi, il reiterare del comportamento
criminoso, dipende un po’ a cascata, gran parte dell’impatto della politica carceraria
e della politica penale nel nostro Paese. Pensiamo quindi alle misure alternative
al carcere chiuso, quindi alle misure che consentano al detenuto un progressivo reinserimento
nella società attraverso forme di lavoro nel carcere e fuori dal carcere. L’idea
è che questa modalità di espiazione della pena, possa avere un impatto rilevante sul
ripetersi del fenomeno criminoso. Tutto lo sforzo della ricerca sta nel come misurare
questa cosa.
D. - Immagino che l’obbiettivo sia anche quello di fornire a chi
deve legiferare dati per poterlo fare al meglio e quindi migliorare una situazione
–quella carceraria- che è veramente drammatica anche per il sovraffollamento. Certo,
pensare ad altre forme di vivere il carcere vuol dire anche mettere in moto un meccanismo
che riguarda l’intera società, persone e strutture che devono cooperare in questo..
R.
- Certamente. Questo è stato un punto sul quale il ministro ha molto insistito. L’idea
di guardare al fenomeno, in modo rigoroso e razionale, è anche l’occasione per superare
un certo tipo di reazione emotiva, e quindi anche dare alla cittadinanza nel suo insieme,
gli strumenti per comprendere come alcune modalità di espiazione della pena, possano
avere dei vantaggi per tutti. Mentre la reazione immediata, emotiva, di fronte a fenomeni
criminosi è quella di aumentare la rigidità, aumentare una risposta di tipo difensivo
e di chiusura, svolgere una ricerca rigorosa che faccia vedere come si possono ottenere
effetti positivi per il singolo e per la collettività, attraverso misure alternative
al carcere chiuso, è un modo per rende consapevole la cittadinanza nel suo insieme
dell’efficacia di queste modalità, e per far avanzare il dibattito della coscienza
collettiva. Ridurre la recidiva rappresenta per la società un vantaggio anche dal
punto di vista economico: si stima infatti che la diminuzione di un solo punto di
percentuale della recidiva corrisponde ad un risparmio di circa 51 milioni di euro
l'anno. Ma che cosa pensa dell’ indagine avviata oggi un’associazione come Antigone
fortemente impegnata sul fronte carcerario? Sentiamo Patrizio Gonnella: R.
- Un’indagine essenziale, perché serve a liberare da tutti i pregiudizi e gli stereotipi
che ci sono intorno al fatto che il carcere deve essere solo vessazione, punizione
cieca. Invece, noi sappiamo, sia per conoscenza empirica nel nostro lavoro di osservazione,
ma anche per conoscenza scientifica -perché ci sono già delle ricerche in tal senso-
che chi sconta una pena in carcere con un trattamento umano, con opportunità di educazione
scolastica, di un lavoro qualificato, di partecipazione ad attività teatrali degne
di questo nome, ha sicuramente un tasso di recidiva più basso. C’è un’indagine fatta
in Germania già di questo tipo che lo ha dimostrato in modo inequivocabile. Chi, per
esempio, ha studiato durante l’esperienza di detenzione, poi non ricommette, quasi
mai, un crimine quando esce dal carcere. C’è una ricerca in questo senso fatta in
Italia su chi ha avuto l’opportunità di una misura alternativa, e chi l’ha avuta durante
la carcerazione. Tale ricerca mostra che nel primo caso il tasso di recidiva è tre
volte più basso di chi invece si è fatto tutto il carcere dentro. E quindi ben venga
una ricerca in questo senso.
D. - Lei parla di possibilità culturali, di lavoro,
fuori e dentro il carcere, di misure alternative, cioè di tutti e due gli aspetti…
R.
- Contano entrambi. Conta l’opportunità che si possa avere un progressivo avvicinamento
al mondo esterno, perché chi è stato per esempio quattro o cinque anni in carcere
senza mai avere contatti con l’esterno, si ritroverà quando esce in un mondo diverso.
Figuriamoci chi è entrato in carcere prima dell’era della digitalizzazione, di internet:
ora esce, non sa neanche più come cercare lavoro. Quindi piano, piano, bisogna invece,
avvicinare le persone, prepararle all’uscita. E poi conta come si è i trattati dentro,
perché lo Stato forte, non è lo Stato che tratta male; lo Stato che tratta nella legalità.
Lo Stato forte è quello che dentro ti fa studiare, ti consente di avere un contatto
religioso, di imparare un mestiere, di esercitalo e per farlo non ti sfrutta, ti tratta
decentemente, ti fa fare un’esperienza di teatro… Pensiamo che oggi è candidato all’Oscar
il film: “Cesare deve morire”. Conosco gli attori di quella compagnia teatrale, ed
alcuni di questi oggi sono attori professionisti!