Il Papa all'udienza generale: la liturgia, azione dell'uomo e di Dio, preghiera che
viene dallo Spirito e da noi
Oggi il Papa, durante l’udienza generale, la prima tenuta in Piazza San Pietro dopo
il 6 giugno, ha svolto la sua catechesi sulla Liturgia, come scuola di preghiera.
In questi mesi – ha detto – “abbiamo compiuto un cammino alla luce della Parola di
Dio, per imparare a pregare in modo sempre più autentico guardando ad alcune grandi
figure dell’Antico Testamento, ai Salmi, alle Lettere di san Paolo e all’Apocalisse,
ma soprattutto guardando all’esperienza unica e fondamentale di Gesù, nel suo rapporto
con il Padre celeste. In realtà, solo in Cristo l’uomo è reso capace di unirsi a Dio
con la profondità e la intimità di un figlio nei confronti di un padre che lo ama,
solo in Lui noi possiamo rivolgerci in tutta verità a Dio chiamandolo con affetto
“Abbà! Padre!”. Come gli Apostoli, anche noi abbiamo ripetuto in queste settimane
e ripetiamo oggi a Gesù: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Inoltre, per apprendere
a vivere ancora più intensamente la relazione personale con Dio, abbiamo imparato
a invocare lo Spirito Santo, primo dono del Risorto ai credenti, perché è Lui che
«viene in aiuto alla nostra debolezza: non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente»
dice san Paolo e sappiamo come ha ragione!”.
Il Papa pone dunque la domanda:
“come posso io lasciarmi formare dallo Spirito Santo?". "Qual è questa scuola nella
quale mi insegna a pregare e viene in aiuto alla mia fatica di rivolgermi in modo
giusto a Dio?". La prima scuola per la preghiera - ha sottolineato - è la Parola di
Dio, la Sacra Scrittura, permanente dialogo tra Dio e l'uomo. Ma - ha aggiunto - "c’è
un altro prezioso «spazio», un’altra preziosa «fonte» per crescere nella preghiera,
una sorgente di acqua viva in strettissima relazione con la precedente. Mi riferisco
alla liturgia, che è un ambito privilegiato nel quale Dio parla a ciascuno di noi,
qui ed ora, e attende la nostra risposta".
Quindi, aggiunge: “Che cos’è la
liturgia? Se apriamo il Catechismo della Chiesa Cattolica - sussidio sempre prezioso,
direi indispensabile" leggiamo che "la parola «liturgia» significa «servizio da parte
del popolo e in favore del popolo» (n. 1069). Se la teologia cristiana prese questo
vocabolo dal mondo greco, lo fece ovviamente pensando al nuovo Popolo di Dio nato
da Cristo che ha aperto le sue braccia sulla Croce per unire gli uomini nella pace
dell’unico Dio. «Servizio in favore del popolo», un popolo che non esiste da sé, ma
che si è formato grazie al Mistero Pasquale di Gesù Cristo. Di fatto, il Popolo di
Dio non esiste per legami di sangue, di territorio, di nazione, ma nasce sempre dall’opera
del Figlio di Dio e dalla comunione con il Padre che Egli ci ottiene. Il Catechismo
indica inoltre che «nella tradizione cristiana (la parola “liturgia”) vuole significare
che il Popolo di Dio partecipa all’opera di Dio»".
“Questo – ha proseguito
- ce lo ha ricordato lo sviluppo stesso del Concilio Vaticano II, che iniziò i suoi
lavori, cinquant’anni orsono, con la discussione dello schema sulla sacra liturgia,
approvato solennemente il 4 dicembre del 1963, il primo testo approvato dal Concilio.
Che il documento sulla liturgia fosse il primo risultato dell’assemblea conciliare
forse fu ritenuto da alcuni un caso. Tra tanti progetti, il testo sulla sacra liturgia
sembrò essere quello meno controverso, e, proprio per questo, capace di costituire
come una specie di esercizio per apprendere la metodologia del lavoro conciliare.
Ma senza alcun dubbio, ciò che a prima vista può sembrare un caso, si è dimostrata
la scelta più giusta, anche a partire dalla gerarchia dei temi e dei compiti più importanti
della Chiesa. Iniziando, infatti, con il tema della «liturgia» si mise in luce in
modo molto chiaro il primato di Dio, la sua priorità assoluta. Prima di tutto Dio:
proprio questo ci dice la scelta conciliare di partire dalla liturgia. Dove lo sguardo
su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento. Il criterio
fondamentale per la liturgia è il suo orientamento a Dio, per poter così partecipare
alla sua stessa opera”.
C’è poi un’altra domanda: “qual è questa opera di
Dio alla quale siamo chiamati a partecipare? La risposta che ci offre la Costituzione
conciliare sulla sacra liturgia è apparentemente doppia. Al numero 5 ci indica, infatti,
che l’opera di Dio sono le sue azioni storiche che ci portano la salvezza, culminate
nella Morte e Risurrezione di Gesù Cristo; ma al numero 7 la stessa Costituzione definisce
proprio la celebrazione della liturgia come «opera di Cristo». In realtà i due significati
sono inseparabilmente legati. Se ci chiediamo chi salva il mondo e l’uomo, l’unica
risposta è: Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso e risorto. E dove si rende
attuale per noi, per me oggi il Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo, che
porta la salvezza? La risposta è: nell’azione di Cristo attraverso la Chiesa, nella
liturgia, in particolare nel Sacramento dell’Eucaristia, che rende presente l’offerta
sacrificale del Figlio di Dio, che ci ha redenti; nel Sacramento della Riconciliazione,
in cui si passa dalla morte del peccato alla vita nuova; e negli altri atti sacramentali
che ci santificano (cfr Presbyterorum ordinis, 5). Così, il Mistero Pasquale della
Morte e Risurrezione di Cristo è il centro della teologia liturgica del Concilio”.
Ma
“in che modo – si chiede ancora Nenedetto XVI - si rende possibile questa attualizzazione
del Mistero Pasquale di Cristo? Il beato Giovanni Paolo II, a 25 anni dalla Costituzione
Sacrosanctum Concilium, scrisse: «Per attualizzare il suo Mistero Pasquale, Cristo
è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto nelle azioni liturgiche. La liturgia
è, di conseguenza, il luogo privilegiato dell’incontro dei cristiani con Dio e con
colui che Egli inviò, Gesù Cristo (cfr Gv 17,3)» (Vicesimus quintus annus, n. 7).
Sulla stessa linea leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica: «Ogni celebrazione
sacramentale è un incontro dei figli di Dio con il loro Padre, in Cristo e nello Spirito
Santo, e tale incontro si esprime come un dialogo, attraverso azioni e parole» (n.
1153). Pertanto la prima esigenza per una buona celebrazione liturgica è che sia preghiera
e colloquio con Dio, anzitutto ascolto e quindi risposta. San Benedetto, nella sua
«Regola», parlando della preghiera dei Salmi, indica ai monaci: mens concordet voci,
«che la mente concordi con la voce». Il Santo insegna che nella preghiera dei Salmi
le parole devono precedere la nostra mente. Abitualmente non avviene così: prima si
deve pensare e poi quanto abbiamo pensato si converte in parola". Nelal liturgia invece
la parola viene prima. Dio - ha affermato il Papa - ci ha dato la Parola e la sacra
liturgia ci offre le parole; "noi dobbiamo entrare nell'interno delle parole, ne loro
significato, accoglierle in noi, metterci in sintonia con queste parole": così diventiamo
simili a Dio. Come ricorda la Sacrosanctum Concilium, per assicurare la piena efficacia
della celebrazione «è necessario che i fedeli si accostino alla sacra liturgia con
retta disposizione di animo, pongano la propria anima in consonanza con la propria
voce e collaborino con la divina grazia per non riceverla invano» (n. 11). Elemento
fondamentale, primario, del dialogo con Dio nella liturgia, è la concordanza tra ciò
che diciamo con le labbra e ciò che portiamo nel cuore ...”.
Il Papa accenna
poi “ad uno dei momenti che, durante la stessa liturgia, ci chiama e ci aiuta a trovare
tale concordanza, questo conformarci a ciò che ascoltiamo, diciamo e facciamo nella
celebrazione liturgica. Mi riferisco all’invito che formula il Celebrante prima della
Preghiera Eucaristica: «Sursum corda», innalziamo i nostri cuori al di fuori del groviglio
delle nostre preoccupazioni, dei nostri desideri, delle nostre angustie, della nostra
distrazione. Il nostro cuore, l’intimo di noi stessi, deve aprirsi docilmente alla
Parola di Dio e raccogliersi nella preghiera della Chiesa, per ricevere il suo orientamento
verso Dio dalle parole stesse che ascolta e dice. Lo sguardo del cuore deve dirigersi
al Signore, che sta in mezzo a noi: è una disposizione fondamentale.
Quando
viviamo la liturgia con questo atteggiamento di fondo, il nostro cuore è come sottratto
alla forza di gravità, che lo attrae verso il basso, e si leva interiormente verso
l’alto, verso la verità, verso l’amore, verso Dio. Come ricorda il Catechismo della
Chiesa Cattolica: «La missione di Cristo e dello Spirito Santo che, nella Liturgia
sacramentale della Chiesa, annunzia, attualizza e comunica il Mistero della salvezza,
prosegue nel cuore che prega. I Padri della vita spirituale talvolta paragonano il
cuore a un altare» (n. 2655): altare Dei est cor nostrum”.
Di qui l’esortazione
finale: “Cari amici, celebriamo e viviamo bene la liturgia solo se rimaniamo in atteggiamento
orante", se non vogliamo farci vedere ma orientiamo il nostro cuore a Dio e siamo
in atteggiamento di preghiera, "unendoci al Mistero di Cristo e al suo colloquio di
Figlio con il Padre. Dio stesso ci insegna a pregare, come afferma san Paolo (cfr
Rm 8,26). Egli stesso ci ha dato le parole adeguate per dirigerci a Lui, parole che
incontriamo nel Salterio, nelle grandi orazioni della sacra liturgia e nella stessa
Celebrazione eucaristica. Preghiamo il Signore di essere ogni giorno più consapevoli
del fatto che la Liturgia è azione di Dio e dell’uomo; preghiera che sgorga dallo
Spirito Santo e da noi, interamente rivolta al Padre, in unione con il Figlio di Dio
fatto uomo (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2564)”.