Diaoyu-Senkaku: flottiglia di Taiwan contro navi di Tokyo. Il Giappone invita ad abbassare
la tensione
Nuove tensioni per le isole Diaoyu-Senkaku, rivendicate dal Giappone, con le proteste
di Cina e Taiwan. Una flotta di pescherecci e motovedette di Taipei ieri ha cercato
di allontanare unità navali di Tokyo. Pechino fa sapere che non tollererà azioni unilaterali
in violazione della sua sovranità. Intanto il Giappone invita ad abbassare la tensione,
oggi probabile incontro all'Onu tra i minstri degli esteri di Tokyo e Pechino. Massimiliano
Menichetti ne ha parlato con Stefano Vecchia, esperto di Estremo Oriente:
R. - In questo
momento, si sta assistendo a una specie di teatro delle parti: ciascuno dei tre contendenti
deve far vedere di esserci e di esserci in modo concreto. La presenza della flotta
peschereccia di Taiwan era un atto dovuto: Taiwan finora aveva mandato soltanto delle
imbarcazioni isolate come atti dimostrativi. Va detto che fra i tre contendenti Taiwan
è quello che, forse, ha più diritti: non formali, cioè non legali, ma perché le isole
Senkaku-Diaoyu sono molto più vicine a Taiwan che non gli altri due Paesi e i pescatori
abitualmente utilizzano queste acque per il loro lavoro e per il loro guadagno.
D.
- Come giudicare l’incontro tra il ministro degli Esteri giapponese e quello cinese?
R.
- Il dialogo è assolutamente indispensabile. La settimana scorsa la tensione aveva
portato ad un incrinarsi dei rapporti economici tra Cina e Giappone, che sono di incalcolabile
valore - valgono più di 350 miliardi di dollari all’anno - e si tratta quindi di
rapporti strettissimi. I Paesii hanno una stretta interdipendenza economica e, in
qualche modo, necessità di cooperare. Il ministro degli Esteri giapponese incontra
il suo omologo cinese per cercare proprio una soluzione diplomatica a una crisi che
rischia di innescare seri problemi e forse anche un confronto militare, data la situazione.
D. - Anche gli Stati Uniti sono coinvolti e stanno mediando in questa situazione:
quali concause hanno influito sul riaccendersi della questione?
R. - Hanno
giocato - da un lato - l’avvicinarsi del 18.mo Congresso del Partito comunista cinese,
che inizierà circa a metà ottobre e che dovrà ridisegnare la leadership del Paese
per i prossimi dieci anni e - dall’altro - una crisi del governo giapponese che si
avvia a elezioni anticipate da qua a novembre. La tensione però dura da tempo e il
rischio di un conflitto aperto è sempre presente: nessuno in ambito internazionale,
ovviamente nessuno dei due Paesi, ha interesse che questo succeda, ma il rischio
è sempre presente.
D. - Alcuni osservatori riducono quanto sta accadendo a
delle tensioni tra gruppi minoritari di nazionalisti…
R. - Indubbiamente, quelli
che hanno l’interesse a riaccendere la tensione sono gruppi minoritari. Va detto però
che il governo giapponese, il sistema politico giapponese è comunque fortemente influenzato
da gruppi dell’estrema destra, in particolare dal Partito liberaldemocratico, che
in questo momento è all’opposizione, ma a fronte di un partito di governo, di una
coalizione di governo che è sempre più debole. In Cina, il paradosso, è che l’estremismo
non è di destra, ma in qualche misura di sinistra ed è in qualche modo incentivato
dal rafforzarsi del potere economico e militare. Il governo, in qualche modo, ha interesse
a soffiare sul fuoco affinché il Paese si coaguli attorno ad un interesse condiviso
e questo soprattutto in un momento in cui - come dicevo - il partito si avvia a una
revisione dalla quale uscirà la leadership decennale del Paese.
D. - Cosa
servirebbe, dunque, per sbloccare questa situazione?
R. - Occorrerebbe, forse,
una presa di posizione sincera e forte a livello internazionale, a livello di Nazioni
Unite, che stabilisca quanto meno un minimo di piattaforma comune. Di fatto, questo
arcipelago è stato affidato al Giappone, perché prima del conflitto mondiale queste
isole appartenevano alla Prefettura di Okinawa, l’estrema prefettura meridionale del
Paese. Quando nel 1972 l’occupazione americana in questa zona è finita, automaticamente
le isole sono passate al Giappone. Questo passaggio però di fatto che non è mai stato
siglato da un trattato internazionale, e non è mai stato riconosciuto né dalla Cina
Popolare, né da Taiwan.