2012-09-25 13:22:17

Diaoyu-Senkaku: flottiglia di Taiwan contro navi di Tokyo. Il Giappone invita ad abbassare la tensione


Nuove tensioni per le isole Diaoyu-Senkaku, rivendicate dal Giappone, con le proteste di Cina e Taiwan. Una flotta di pescherecci e motovedette di Taipei ieri ha cercato di allontanare unità navali di Tokyo. Pechino fa sapere che non tollererà azioni unilaterali in violazione della sua sovranità. Intanto il Giappone invita ad abbassare la tensione, oggi probabile incontro all'Onu tra i minstri degli esteri di Tokyo e Pechino. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Stefano Vecchia, esperto di Estremo Oriente:RealAudioMP3

R. - In questo momento, si sta assistendo a una specie di teatro delle parti: ciascuno dei tre contendenti deve far vedere di esserci e di esserci in modo concreto. La presenza della flotta peschereccia di Taiwan era un atto dovuto: Taiwan finora aveva mandato soltanto delle imbarcazioni isolate come atti dimostrativi. Va detto che fra i tre contendenti Taiwan è quello che, forse, ha più diritti: non formali, cioè non legali, ma perché le isole Senkaku-Diaoyu sono molto più vicine a Taiwan che non gli altri due Paesi e i pescatori abitualmente utilizzano queste acque per il loro lavoro e per il loro guadagno.

D. - Come giudicare l’incontro tra il ministro degli Esteri giapponese e quello cinese?

R. - Il dialogo è assolutamente indispensabile. La settimana scorsa la tensione aveva portato ad un incrinarsi dei rapporti economici tra Cina e Giappone, che sono di incalcolabile valore - valgono più di 350 miliardi di dollari all’anno - e si tratta quindi di rapporti strettissimi. I Paesii hanno una stretta interdipendenza economica e, in qualche modo, necessità di cooperare. Il ministro degli Esteri giapponese incontra il suo omologo cinese per cercare proprio una soluzione diplomatica a una crisi che rischia di innescare seri problemi e forse anche un confronto militare, data la situazione.

D. - Anche gli Stati Uniti sono coinvolti e stanno mediando in questa situazione: quali concause hanno influito sul riaccendersi della questione?

R. - Hanno giocato - da un lato - l’avvicinarsi del 18.mo Congresso del Partito comunista cinese, che inizierà circa a metà ottobre e che dovrà ridisegnare la leadership del Paese per i prossimi dieci anni e - dall’altro - una crisi del governo giapponese che si avvia a elezioni anticipate da qua a novembre. La tensione però dura da tempo e il rischio di un conflitto aperto è sempre presente: nessuno in ambito internazionale, ovviamente nessuno dei due Paesi, ha interesse che questo succeda, ma il rischio è sempre presente.

D. - Alcuni osservatori riducono quanto sta accadendo a delle tensioni tra gruppi minoritari di nazionalisti…

R. - Indubbiamente, quelli che hanno l’interesse a riaccendere la tensione sono gruppi minoritari. Va detto però che il governo giapponese, il sistema politico giapponese è comunque fortemente influenzato da gruppi dell’estrema destra, in particolare dal Partito liberaldemocratico, che in questo momento è all’opposizione, ma a fronte di un partito di governo, di una coalizione di governo che è sempre più debole. In Cina, il paradosso, è che l’estremismo non è di destra, ma in qualche misura di sinistra ed è in qualche modo incentivato dal rafforzarsi del potere economico e militare. Il governo, in qualche modo, ha interesse a soffiare sul fuoco affinché il Paese si coaguli attorno ad un interesse condiviso e questo soprattutto in un momento in cui - come dicevo - il partito si avvia a una revisione dalla quale uscirà la leadership decennale del Paese.

D. - Cosa servirebbe, dunque, per sbloccare questa situazione?

R. - Occorrerebbe, forse, una presa di posizione sincera e forte a livello internazionale, a livello di Nazioni Unite, che stabilisca quanto meno un minimo di piattaforma comune. Di fatto, questo arcipelago è stato affidato al Giappone, perché prima del conflitto mondiale queste isole appartenevano alla Prefettura di Okinawa, l’estrema prefettura meridionale del Paese. Quando nel 1972 l’occupazione americana in questa zona è finita, automaticamente le isole sono passate al Giappone. Questo passaggio però di fatto che non è mai stato siglato da un trattato internazionale, e non è mai stato riconosciuto né dalla Cina Popolare, né da Taiwan.







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