Attentato contro cattedrale in Nigeria. Mons. Kaigama: non ci lasciamo intimidire
dai violenti
“Un attacco scioccante e sconvolgente”. Così all’agenzia Fides, mons. Ignatius Ayau
Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria,
sull’attentato di domenica, contro la Cattedrale cattolica di Bauchi, nel Nord del
Paese. Un kamikaze, appartenente ai terroristi islamici di Boko Haram, che continuano
a funestare il Paese, ha diretto la propria auto, piena di esplosivo, contro i fedeli
che uscivano dalla Messa domenicale. Tre i morti, 46 i feriti. “Dobbiamo andare avanti
con la nostra vita e il nostro lavoro – ha ribadito mons. Kaigama - e non lasciarci
intimidire dai violenti”. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di
Maurizio Misitano, responsabile dell'area internazionale della Onlus agostiniana
Apurimac, molto attiva anche in Nigeria:
R. – Boko Haram
significa “l’educazione occidentale è sacrilega”, quindi non siamo di fronte ad un
attacco alle chiese, semplicemente, ma è un attacco che vuole destabilizzare il potere.
Attaccano sia cristiani che musulmani e, come ha dichiarato mons. Kaigama, i terroristi
Boko Haram vogliono provocare una guerra fra cristiani e musulmani, ma nessun musulmano
nigeriano desidera questo.
D. – Lo ricordiamo, il nucleo di partenza di Boko
Haram è la parte nord-occidentale della Nigeria…
R. – Sì, partono da un gruppo
organizzato nella parte nord-occidentale del Paese, ma sempre di più stanno sviluppando
i loro attacchi un po’ in tutto il centro-nord. Non dimentichiamo l’attacco che c’è
stato a gennaio dell’anno scorso a Kano, la seconda città per numero di popolazione
e la quarta città dell’islam, dove da gennaio del 2012 ci sono state 162 persone uccise
soprattutto tra poliziotti, quindi Boko Haram attacca lo Stato.
D. - Voi siete
in contatto continuo con realtà locali, qual è la situazione?
R. – Noi lavoriamo
nel Plateau State, in tutta la Middle Belt, ormai dal 2005. Devo dire che la situazione
sta migliorando giorno per giorno. Oggi, insieme ai nostri collaboratori locali e
la provincia agostiniana di Nigeria, siamo a capo di un coordinamento di 61 associazioni
del territorio di Jos, la capitale dello Stato, che lavorano per la pace e il dialogo.
E’ un coordinamento cui partecipano anche i rappresentanti della Chiesa, rappresentanti
musulmani, laici, politici etc. Sono tutti molto preoccupati perché nonostante il
coprifuoco, nonostante lo sforzo del governo locale, del governo nazionale, per fermare
questa crisi, continuano ad esserci attacchi.
D. - Perché Boko Haram è interessato
a destabilizzare lo Stato?
R. – Per riuscire a conquistare il potere politico
ed economico di uno Stato che, ricordiamo, è il più popoloso d’Africa, che è uno dei
produttori di petrolio più importante, che è il secondo Pil dell’Africa e che rappresenta
il 25 per cento degli africani, cioè ogni 4 africani c’è un nigeriano. Chi si conquista
il potere di questo Stato riesce praticamente a mettere le mani su gran parte dell’Africa.
D.
– Una situazione che non è soltanto subita. Il 19 e 20 settembre scorso c’è stata
una grande conferenza proprio a Jos per fare il punto della situazione…
R.
– Abbiamo organizzato un incontro internazionale cui hanno partecipato tra gli altri
anche la rappresentante dell’ambasciata d’Italia e canadese e poi Germania, Spagna,
Usa, Inghilterra e rappresentanti della delegazione europea, oltre chiaramente rappresentanti
sia della Chiesa locale sia dei musulmani locali. Tutti crediamo che la via per la
risoluzione della crisi è il dialogo interculturale e interreligioso, rafforzando
e sostenendo quello che nella società civile sta nascendo. C’è una forte volontà di
ritrovare la pace. Non dimentichiamo che Jos - che oggi è teatro di continui attacchi
- era considerata la città della pace e del turismo. Oggi è una città di fuga e coloro
che non possono fuggire sono i più poveri.
D. – Quindi bisogna puntare su quella
parte della società civile che non condivide Boko Haram?
R. – Mi permetto di
riprendere le parole di mons. Kaigama: "La maggior parte della popolazione non vuole
questa crisi, sia da parte cristiana sia da parte musulmana". E’ soltanto una minima
parte, con la quale noi stiamo cercando di lavorare, che viene strumentalizzata. Soltanto
sostenendo la società civile e il dialogo che sta nascendo, si può uscire da questa
crisi.