Cracovia: chiuso l'Incontro dei giovani di Sant'Egidio. Intervista col cardinale Dziwisz
“Se nei nostri Paesi si respira paura, noi invece siamo pieni di speranza”. Con queste
parole oltre 1500 ragazzi europei hanno lanciato un appello di pace ai giovani di
tutto il mondo. Tre giorni di lavori, organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio, culminati
con il pellegrinaggio ad Auschwitz–Birkenau. La terza edizione dell’Incontro internazionale
“Giovani europei per un mondo senza violenza”, ha visto anche l’incontro con l’arcivescovo
di Cracovia, il cardinale Stanisław Dziwisz. Il nostro inviato, Massimiliano
Menichetti:
"Sono felicissimo
di accogliervi in questo posto. Non è facile accogliere tanti giovani oggi in Europa.
Giovani che hanno il cuore aperto a quello che è bello e buono e vero!”.
Questo
l’abbraccio dell’arcivescovo di Cracovia, il cardinale Stanisław Dziwisz, nel gremito
Santuario della Divina Misericordia ieri sera, agli oltre 1500 giovani venuti da ogni
parte d’Europa per costruire “un mondo senza violenza”. “Cracovia è vostra, questo
Santuario è la vostra casa”, ha ribadito il porporato che, ricordando anche le figure
di Santa Faustina e del Beato Giovanni Paolo II, ha sottolineato come la luce di Cristo
si irradi nel mondo grazie alla testimonianza coraggiosa.
Ripetuti gli applausi
dei ragazzi, che hanno pregato gli uni accanto agli altri ritrovandosi in Cristo.
Una preghiera corale, al termine di una giornata in cui hanno levato forte l’appello
alla pace nel mondo, tra l’orrore di Auschwitz-Birkenau:
"Da questo luogo
riparte un movimento di cuori, che vuole contagiare altri giovani come noi per essere
migliori e rendere più umani i nostri Paesi, in un’Europa di pace: Auschwitz-Birkenau,
21 settembre 2012".
Dal luogo del male assoluto, dove vennero sterminate
oltre un milione e cento mila persone, è dunque stato piantato un seme di coraggio
e voglia di lottare, con le sole armi del dialogo e dell’accoglienza, contro qualsiasi
forma di odio. Una giornata densissima, quella di ieri, che ha visto i giovani europei
in pellegrinaggio diventare ambasciatori di ricordo e pace. Oggi, i gruppi di lavoro
per confrontarsi su quell’orrore toccato con mano; poi la Santa Messa, a Cracovia,
la fiaccolata per la pace, la festa finale e il rientro in patria:
“Una
fabbrica della morte dove morivano senza motivo, è una cosa che spaventa”.
“È
un fardello molto molto pesante, che mi rattrista, che mi fa pensare a molte cose
e che fa nascere in me molte domande: perché è accaduto tutto questo?”.
“L’impatto
più forte per me è stato la sala dove erano esposti i capelli. Vedere tutte quelle
ciocche ed il numero che gli veniva scritto diventava la loro identità. Quello è il
momento più forte che ho avvertito”.
D. - In questi tre giorni, è stato
ribadito, voi avete ribadito con un appello di pace, la necessità di costruire un
mondo senza violenza. Quant’è importante per un ragazzo oggi questo e quanta attenzione
c’è su questo?
R. - Non ce n’è tanta di attenzione secondo me da parte del
mondo, non pensano a quanto sia importante la pace nel mondo, un rapporto migliore
fra gli uomini, ma piuttosto pensano all’economia, alla politica e non si preoccupano
più dei rapporti tra le persone, il perdono. Noi dobbiamo prima ti tutto pensare al
rapporto con il prossimo.
D. - Avete letto l’appello alla pace?
R. -
Sì, sì.
D. - In quell’appello c’è di fatto un impegno…
R. - Per me,
è cambiare principalmente me stesso e il rapporto con gli altri. Poi, naturalmente,
quando uno cambia interiormente cambia nel suo piccolo anche parte del mondo, cambia
il mondo con cui sta a contatto.
R. - Una cosa è sentire parlare di Auschwitz
ed una cosa è vedere Auschwitz. Qui ho visto come il male possa crescere e che cosa
voglia dire vivere senza Dio.
R. - E’ un sentimento, diciamo, difficile da
descrivere: bisogna ricordare che dobbiamo fare in modo che non si ripeta”.
D.
- Tu come sarai ambasciatore di pace nel concreto?
R. - Potrei dare una mano:
conoscendo gente amici, potremmo diffondere questa voce, questo messaggio molto importante.
Creare piano piano, gradualmente, questo mondo di pace.
Il silenzio della Vistola
che attraversa Cracovia, avvolta da una fitta nebbia quasi d’inverno, ha guardato,
ieri, questi ragazzi venuti da ogni parte d’Europa presentarsi davanti a quel cancello
di morte con la scritta in tedesco: “Il lavoro rende liberi”. Ma è stata la speranza,
irradiata anche da testimoni come Edith Stein e Fra Massimiliano Maria Kolbe - che
diede la vita ad Auschwitz per salvare quella di un padre di famiglia - ad abbracciare
e guidare i cuori. Małgorziata Domzał, guida al campo di Auschwitz:
R.
- Quasi impossibile è determinare la cifra dei prigionieri uccisi in questo campo:
si parla di un milione 300 mila deportati ed un milione 100 mila uccisi. Parliamo
sempre di un milione di prigionieri ebrei, 70 mila persone fra la popolazione civile
polacca, 21 mila tra sinti e zingari, 15 mila prigionieri sovietici di guerra e si
parla di 10 o 15 mila di altre nazionalità.
D. - Che cosa significa per te
raccontare questa storia ad altre persone che magari non conoscono così bene, o addirittura
mettono in dubbio che questo luogo sia esistito?
R. - Per me, è importante
raccontare la storia proprio per non dimenticarla, parlo anche come polacca. In Polonia,
non è importante naturalmente chi veniva deportato ed ucciso in questo campo - ebrei,
zingari, sinti… - ma come polacca devo dire che in Polonia non c’è famiglia che non
abbia perso qualcuno durante la guerra. Anch’io ho perso in questo campo mio nonno,
è stato fucilato al muro della morte, perché era membro della resistenza ed è stato
deportato da Cracovia; anch’io sono di Cracovia. Non era ebreo, ma questo non era
importante perché qui venivano deportati ebrei, polacchi, cattolici e morivano - come
ho detto - senza motivo.
A Birkenau, suggestive note hanno accompagnato una
marcia silenziosa lungo i binari dei treni della deportazione. E ricordando in particolare
ebrei, sinti e rom sono state deposte due corone di fiori sulle lapidi della memoria.
E poi, ancora il silenzio che plasma la coscienza.