Congo: violenze ed epidemia di Ebola nel Nord Kivu
Da una parte, le violenze continue del gruppo di ribelli M23, dall’altro l’epidemia
di Ebola, stanno mettendo in ginocchio la Repubblica Democratica del Congo, in particolare
la regione orientale del Nord Kivu, dove i miliziani hanno instaurato un governo di
fatto imponendo tasse e soprusi ai cittadini. La Chiesa si sta mobilitando per portare
sostegno alla popolazione, ma anche per sensibilizzare l’Onu sul rischio di “balcanizzazione”
del Paese sempre più vicino. E' quanto sottolinea - al microfono di Cecilia Seppia
- padreAlfonso Ramazani, del Consiglio generale dei missionari Saveriani:
R. - La ribellione
dell’M23 si limita in questo periodo in una zona relativamente ristretta della provincia.
Per quanto concerne l’eventuale scontro armato, secondo fonti attendibili, c’è un’attività
diplomatica intensa attorno a questa ennesima crisi, che ci fa pensare ed augurare
che non ci siano nuovi scontri in prospettiva tra i ribelli e l’esercito nazionale.
D. - Lei dice che siamo lontani dall’esplodere di un conflitto armato, però
nell’eventualità quest’ultimo potrebbe coinvolgere Paesi confinanti, alcuni dei quali
accusati anche di appoggiare i ribelli contro l’esercito di Kinshasa?
R. -
Tutto può accadere, e lo dico perché si sa che il sostegno alla ribellione nell’Est
del Congo dura, come dura pure la negazione della sua evidenza da parte dei suoi sostenitori.
A proposito di questo sostegno da parte di un Paese confinante: il presidente del
Congo, Joseph Kabila, ha dichiarato - il 30 luglio scorso - che si tratta di un segreto
noto a tutti, però prima del presidente congolese, l’Ong Human Rights Watch e gli
esperti delle Nazioni Unite avevano già pubblicato i loro rapporti contenenti le schiaccianti
prove sull’implicazione di un Paese confinante nella destabilizzazione della pace
nell’Est del Congo.
D. - Ma la popolazione di quest’area come vive: sente
comunque paura nei confronti dei ribelli, delle loro azioni?
R. - Certo. Lei
può immaginare una mamma, un babbo che si trovano sempre a dover scappare e non andare
a lavorare nei campi… Come può vivere una persona? La paura c’è sempre.
D.
- In Congo c’è anche l’epidemia di ebola. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha
detto che ci sono 46 casi di contagio, 19 dei quali fatali. Questa è un’altra emergenza
che il Paese si trova a fronteggiare.
R. - Certamente, è una sofferenza che
si aggiunge ad altre sofferenze e non è la prima volta; è questo il problema. Sfortunatamente,
anche strutture statali non sono così ben preparate secondo me ad assumersi le loro
responsabilità di fronte ad un’epidemia del genere. La gente sta morendo a causa dell’epidemia
di ebola, lo stesso governo lo sta dicendo e sta anche cercando di animare la gente
al fine di poter sviluppare modi di comportamento che possano anche fermare l’estensione
di questa epidemia.
D. - Una situazione complessa che rappresenta una nuova
sfida per le missioni cattoliche nella regione. Come stanno operando i missionari
in Kivu?
R. - Effettivamente è una sfida che trova il missionario preparato
nel suo dovere di solidarietà con tutta la gente che ha sofferto. La gente adesso
è in balia delle sette che si sviluppano e noi religiosi dobbiamo dirlo se sono coinvolti
in queste situazioni che degradano la dignità dell’uomo nelle province del Kivu. Il
missionario deve farsi solidale con la Chiesa cattolica in Congo, che ha sempre proclamato
la parola della riconciliazione, della giustizia e anche della pace. In questi ultimi
giorni, la Chiesa, assieme ad altre confessioni religiose sta portando davanti - all’Onu,
negli Usa, in Canada, in Europa ed in Asia - un progetto di sensibilizzazione sulla
situazione vera che il Paese vive, sulla pace necessaria anche allo sviluppo. Dice
“No” alla balcanizzazione del nostro Paese, perché noi congolesi vogliamo che
rimanga unito e indiviso.