Una sola carne nell’unione coniugale: convegno al Pontificio Istituto Giovanni Paolo
II
“Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due
saranno una sola carne”. Parte da questo versetto del libro della Genesi (Gen 2,24
) la riflessione del colloquio internazionale “Una caro: il linguaggio del
corpo e l’unione coniugale”, che si conclude oggi presso il Pontificio Istituto Giovanni
Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia, a Roma. Professori di diverse università
del mondo si confrontano sulla specificità dell’unione coniugale. Quale è l’importanza
e l’attualità di questo tema? Debora Donnini lo ha chiesto al professore don
José Granados, vicepresidente del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II:
R. – L’importanza
di questo tema è il significato di questo tipo di unione “una caro” - espressione
biblica che significa l’unione coniugale - in un mondo in cui le relazioni sono molto
deboli. Si pensa all’unione sessuale come a un qualcosa che vale per oggi, ma non
per domani. Si pensa a quelle che si chiamano “relazioni liquide”, che dipendono solo
dalla volontà dei due soggetti e non si capisce che ci sono tipi di unioni che fanno
più grande la vita. Il termine “una caro” nella Bibbia ha questa forza: unisce tutte
le dimensioni della persona – la sessualità, l’affettività, la consegna di sé – riuscendo
a creare una vita che dura. Penso sia decisivo, in una società di relazioni molto
fragili, vedere come l’“una caro” è l’unità che consente di vedere “il racconto” di
tutta una vita.
D. – In che senso l’essere "una sola carne" si compie in modo
reale nel matrimonio cristiano?
R. – E’ un aspetto molto importante come questo
tipo di unione, che include l’unione sessuale, quando è vissuta in pienezza rimandi
a Dio, perché è Dio che ha unito. E' la risposta di Gesù ai Farisei: “Ciò che Dio
ha unito”. Dicevano i rabbini che Dio ha impiegato più forza nell’unire l’uomo e la
donna che nel dividere il Mar Rosso in due parti. E questo perché è un’unione che
avviene tramite la nostra libertà e questa è la nostra grandezza: Dio ci unisce, ma
anche l’uomo e la donna si uniscono e questo prepara per questa unione più grande,
che è quella di Cristo e la Chiesa, che è la pienezza della rivelazione cristiana
e che dà un senso tutto singolare a questa unione. E’ unione in cui l’uomo e la donna
possono scambiarsi loro stessi e nel loro scambio anche il dono di Dio. Possono “dare
Dio all’altro”: questa è la pienezza di questa unione nella visione cristiana.
D.
– Una delle relazioni, quella del prof. Carlos Granados della Facoltà di Teologia
di San Damaso a Madrid, metteva proprio in rilievo il parallelo fra Genesi 2,24 e
il Cantico dei Cantici, sottolineando come l’“una caro” – una sola carne – rimandi
anche al tema di un’unione che è segno di un’alleanza, ma anche un’unione che si compie
nella carne e quindi in un luogo fragile. Cosa l’ha colpita di più di questo suo intervento?
R.
– Penso sia stato capace di prendere il testo biblico e di capire la profondità di
questo termine – “carne” – che non è soltanto il corpo come oggetto, ma il corpo vissuto,
il corpo personale: il mio corpo ha un nome ed è la mia presenza nel mondo. La carne,
l’essere nella carne, è la capacità di relazioni con gli altri e con Dio. In questa
fragilità, la vita si apre a un altro e così diventa più grande. Penso che la nostra
società abbia paura di questa fragilità. E’ una fragilità che è recettività, “riceversi”
da un altro, ed è per questo che è molto unita al concetto di creazione. La carne
è una testimonianza – diceva Giovanni Paolo II – del dono originario che Dio ci ha
fatto, che è il dono della vita. L’uomo e la donna raggiungono un’unità nello spirito
tramite la vita concreta e questo si riferisce al mistero dell’Incarnazione. E’ tramite
la fragilità della nostra vita che Dio mostra la sua forza e quindi, anche attraverso
la vita concreta, giorno dopo giorno, attraverso l’educazione dei figli… Non si deve
lasciare la carne per arrivare a quest’unità nello spirito, perché lo spirito è l’amore,
la carne è l’apertura all’amore.
D. – Come si declina questo convegno?
R.
– Si trattava di vedere la ricchezza di quest’unione in “una caro”, che non è semplicemente
un’unione sessuale, perché questa non dura, la include ma in una dimensione molto
più grande. E’ prima un’unione tra due persone, un’unione interpersonale dell’uomo
e della donna, e quindi come tale è un dono di sé all’altro, che si apre poi verso
il Creatore: è Lui che ha creato la carne, che ha creato la differenza sessuale, è
Lui che unisce l’uomo e la donna. Quindi, si tratta di una dimensione trascendente
che poi – questo è il terzo momento – genera altri rapporti: prima di tutto la fecondità
– l’“una caro” diventa un terzo, il figlio – ma anche i rapporti sociali. E’ molto
importante per noi che il matrimonio sia fondamento della società: non è una questione
privata, ma è la contribuzione a costruire una società forte e quindi genera capitale
sociale. Per ultimo, vedremo la pienezza che questo ha nella vita cristiana e come
questo “una caro” si riferisca al grande mistero di Cristo e della Chiesa e quindi
essenziale per capire tutto il cristianesimo: il Sacramento del Matrimonio non è l’ultimo
tra i Sacramenti, ma è un Sacramento strategico per farci capire come Dio si dona
nel corpo, che è la logica di tutti i Sacramenti.
Quale è il messaggio di questo
convegno per le famiglie di oggi? Debora Donnini lo ha chiesto a mons. Jean
Laffitte, segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia:
R. - “Una caro”
si riferisce a un’espressione biblica, oggetto di tanti approfondimenti. Oggi è necessario
ripensare il tema, approfondirlo, perché lo si può comprendere da varie prospettive.
In un momento in cui assistiamo a una vera banalizzazione della sessualità, è necessario
vedere la ricchezza che porta questo sintagma: “una caro”. Per questo motivo, il Pontificio
Istituto Giovanni Paolo II ha organizzato questo colloquio – in collaborazione con
la Congregazione per la Dottrina della Fede – proprio per poter vedere vari aspetti.
Il primo aspetto è quello rivolto alle famiglie: l’unione coniugale degli sposi è
un‘unione interpersonale, non è solo un atto dettato dall’istinto, dal puro desiderio
o da altre finalità. Questa unione interpersonale si riferisce non solo a tutti i
dinamismi spirituali, emotivi, affettivi, fisici di ciascuno degli sposi, ma viene
interpretata anche come una “chiamata”. Esiste una “chiamata” all’amore, alla quale
possono rispondere quelli che sono attenti alla ricchezza di senso. La ricchezza che
è offerta nella complementarietà sessuale è in questo desiderio di far sì che l’unione
sessuale sia un autentico e mutuo dono di sé, aperto verso qualcosa di più grande,
che va al di là e che è quest'apertura alla fecondità.