Cortile dei gentili. Il cardinale Ravasi: la novità di Stoccolma, aver rotto in pubblico
il silenzio su Dio
Aver parlato di Dio in pubblico in una società per la quale la religione è questione
strettamente privata è un successo. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente
del Pontificio Consiglio della Cultura, traccia un bilancio positivo del suo recente
incontro a Stoccolma nell’ambito del “Cortile dei gentili”. Le parole del porporato
nell’intervista di Fabio Colagrande:
R. - Mi trovavo
non soltanto in un ambito che è completamente diverso dal punto di vista confessionale
rispetto a quello cattolico, l’ambito luterano, ma soprattutto in un ambito fieramente
laico, secolarizzato, dove esplicitamente il discorso religioso non fa parte del tessuto
normale della comunicazione ed è riservato soltanto all’intimità delle persone e all’ambito
strettamente ecclesiale. Ebbene, lì questo “timore e tremore” si è sciolto quasi subito
per almeno due ragioni: da una parte, l’accoglienza che ho avuto anche da coloro che
non erano credenti è stata particolarmente intensa; dall’altra parte, abbiamo avuto
anche una presenza, una partecipazione particolarmente intensa da parte della stessa
comunità luterana. L’impressione naturalmente ha confermato quello che io avevo acquisito,
attraverso soprattutto la lettura della letteratura contemporanea svedese. In particolare,
ho ritrovato ancora l’elemento dominante, che è l’elemento della secolarizzazione.
Qui vorrei dire che - registrato anche da alcuni che mi intervistavano dei giornali,
della televisione o anche dello stesso ambito luterano - l’elemento più sconcertante
per loro e sorprendentemente riuscito era che ambiti pubblici e ambiti diversi tra
di loro, secolarizzati in maniera esplicita, anzi totalmente laici come l’Accademia
delle Scienze e anche un po’ l’ambiente dei giovani del Fryshuset, siano stati dominati
da discorsi religiosi. I discorsi religiosi non si devono fare in pubblico perché
sono politicamente e culturalmente scorretti: invece, in quel caso, i discorsi sono
arrivati, detti esplicitamente e personalità di rilievo della cultura svedese hanno
dichiarato la loro fede o il loro abbandono della fede o anche la loro negazione totale
di qualsiasi dimensione, esponendosi in pubblico, davanti magari anche ai loro colleghi.
Questa è stata la sorpresa anche da parte mia: come mi ha detto un interlocutore qualificato,
non avrebbero mai immaginato che a rompere questo silenzio, attorno ai temi religiosi,
sarebbe stato in Svezia proprio un cardinale cattolico.
D. - Come sono andati
i colloqui, gli incontri, i confronti?
R. - Il confronto nell’Accademia delle
Scienze è stato in assoluto il più sistematico, globale, accurato, qualificato, anche
se su percorsi inattesi. Qui, bisogna dare atto sicuramente all’ambasciatrice di Svezia
presso la Santa Sede, Ulla Gudmundson, la quale ha diretto - lei stessa - il dibattito
e il dialogo con molta acutezza e anche con molto equilibrio. Ma soprattutto, direi,
in questo caso è stata emozionante - per me mediterraneo - l’impressione di vedere
che delle persone - sala intera stracolma - per tre ore e mezza, senza intervallo,
ha assistito a questo dibattito nel silenzio più assoluto, lamentandosi poi alla fine
per il tempo breve degli interventi del pubblico. E dall’altra parte, nel mondo invece
dei giovani, lì allora le scintille ci sono state, perché abbiamo avuto, per esempio,
la presenza di giovani da un lato, forse, fortemente testimoni della loro fede, e
dall’altro lato abbiamo avuto dei giovani, ma anche il capo di questo movimento umanista
secolare svedese, fieramente “ateistico” diciamo, il quale ha posto le sue questioni
in una maniera anche un po’ aggressiva, in certi momenti. Questo è significativo anche
di questo Paese, ma non lo è in maniera emblematica. Mi è stato detto che, per esempio,
che gli umanisti secolari sono soltanto cinquemila in Svezia, su una popolazione di
10 milioni di abitanti. Quindi, ciò che era più significativo era, forse, il rompere
la nebbia, il gelo dell’indifferenza, della non pubblicità della fede.