Amnistia in Myanmar: già liberati 90 detenuti politici
In Myanmar, circa 90 prigionieri politici hanno già beneficiato dell'amnistia proclamata
ieri dalle autorità birmane: sono oltre 500 i detenuti che verranno liberati, tra
i quali figurano monaci, studenti e membri delle minoranze etniche, ma anche numerosi
dissidenti. E' l'ennesima amnistia proclamata nei 18 mesi del governo civile, un’ulteriore
tappa nel percorso di riforme intrapreso dal presidente, Thein Sein, che ha incoraggiato
l'Occidente ad allentare le sanzioni economiche contro il Paese. E proprio oggi, la
leader dell’opposizione, Aung San Suu kyi è giunta negli Stati Uniti, per un viaggio
che durerà due settimane e che prevede l’incontro con il segretario di Stato americano,
Hillary Clinton e, probabilmente, con il presidente Obama. Sulla liberazione dei detenuti
politici, Salvatore Sabatino ha intervistato Francesco Montessoro, docente
di Storia dell’Asia presso l’Università Statale di Milano:
R. - E’ certamente
un passo verso la normalizzazione. E’ un passo che, peraltro, è coerente con ciò che
è accaduto dopo il 2008 con la revisione della Carta Costituzionale e, soprattutto,
con le elezioni del 2010, che pur essendo controllate dalla elite militare, che di
fatto è alle spalle dell’attuale governo, hanno avuto il merito di modificare positivamente
il quadro politico complessivo. Peraltro, che queste elezioni fossero solo un primo
passo si è rivelato quest’anno, nel 2012, quando Aung San Suu Kyi è riuscita a vincere
le elezioni suppletive. Da questo punto di vista, non vi è alcun dubbio: la Birmania
sta mutando effettivamente sotto il profilo politico in una direzione che, pur non
essendo ancora perfettamente democratica, è certamente una evoluzione assai positiva.
D. - Un Paese, la Birmania, che assume un ruolo sempre più rilevante anche
per gli equilibri dell’area. Ma qual è oggi il suo peso specifico?
R. - Di
fatto, è un Paese che ha assunto un alto valore simbolico, soprattutto per il ruolo
e per il destino di Aung San Suu Kyi: è stato molto importante sotto il profilo politico.
Dal punto di vista geo-strategico, pur avendo un suo ruolo specifico tra Cina e India,
non possiamo ritenerlo un Paese decisivo.
D. - Gli Stati Uniti, sulla scia
delle riforme introdotte dal governo civile birmano, hanno sospeso parte delle sanzioni
applicate negli anni Novanta. Questo quanto aiuta il Myanmar a guardare con maggiore
serenità al proprio futuro?
R. - Si tratta di un’iniziativa clamorosa per certi
aspetti ed è una iniziativa - quella americana - che effettivamente prelude ad un
pieno reintegro di questo Paese nell’arena internazionale. Credo che, da questo punto
di vista, il Myanmar abbia ormai perduto il profilo di Paese ostile, chiuso, antidemocratico.
D. - La settimana prossima, il presidente birmano, Thein Sein andrà negli
Stati Uniti per partecipare all’Assemblea generale dell’Onu, dove parlerà il 24 settembre.
Professore, un discorso molto, molto atteso…
R. - Sì, proprio perché afferma
questa tendenza: soltanto pochi anni fa sarebbe stata impensabile una proiezione internazionale
di un qualsiasi esponente di spicco della leadership militare e politica birmana.
Oggi, le cose effettivamente sono mutate. In qualche maniera, si può ritenere questo
discorso l’avallo internazionale di un Paese che sta ritornando - anche se imperfettamente
sotto il profilo della democrazia e questo deve essere chiaro - nell’agone internazionale.