Fiat. Mons. Nosiglia: famiglie e lavoro prima degli interessi degli azionisti
La Fiat, anche se in Europa sta accumulando perdite per oltre 700 milioni di euro,
non vuole lasciare l’Italia. E’ quanto ha detto in un’intervista al quotidiano “La
Repubblica” l’amministratore delegato dell’azienda torinese, Sergio Marchionne, aggiungendo
di non aver parlato di esuberi e di non aver proposto chiusure di stabilimenti. Il
ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha definito le dichiarazioni di Marchionne molto
interessanti. Sulla vicenda Fiat e sulla crisi, si sofferma al microfono di Amedeo
Lomonaco l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia:
R. – La prima
e più vasta priorità, per Torino come per l’Italia, è il lavoro: prima del valore
per gli azionisti, prima della realizzazione di un qualche diverso modello di sviluppo,
viene il diritto a mantenere se stessi e la propria famiglia. È qui che si gioca la
capacità di uno Stato di garantire la dignità ai propri cittadini, in una prospettiva
di bene comune. Vale per la Fiat, l’Ilva, l’Alcoa come per tutte le altre crisi grandi
e piccole che non arrivano neanche ai grandi mass media ma – anche senza fare notizia
– stanno impoverendo questo nostro Paese. Per quanto attiene poi alla Fiat in particolare,
sono certo che lo speciale rapporto che il gruppo ha sempre avuto con Torino e che
si è manifestato saldo anche nei momenti più complessi e difficili della sua storia,
rappresenti un patrimonio di qualità che va oltre gli aspetti finanziari ed economici
e investe altri valori altrettanto importanti sul piano umano, etico e comunitario:
valori da non disperdere anche a fronte del nuovo e articolato assetto internazionale
che l’azienda ha assunto nel mondo. Ma oggi a Torino non c’è solo la Fiat. La vocazione
industriale del nostro territorio è la base solida sulla quale si possono costruire
progetti e visioni future che aprono vie nuove a imprese, ricerca e innovazione, ambiti
in cui esistono a Torino realtà di eccellenza tali da rendere possibile un rilancio
anche produttivo e occupazionale.
D. – Il sistema industriale italiano è in
declino e il Paese è in crisi. Cosa occorre per un’autentica crescita?
R. –
La crisi sta mettendo a dura prova l’intero “sistema Paese” e impone pesanti prezzi
sociali, soprattutto ai cittadini più deboli con complicanze anche etiche che non
vanno sottovalutate. Si dice che non esistono ricette magiche per un rilancio dello
sviluppo ed è vero. La crescita esige una nuova e definita politica industriale, ma
non è solo questione economica, anzi l’economia stessa non può porsi al di sopra delle
regole che tutelano quel bene che è la persona e quei beni comuni che stanno alla
base di una società viva e sana. E ancora: al di sopra delle regole c’è la volontà
politica, quella che sceglie il dialogo, il lavoro comune e non la contrapposizione.
E’ necessario dare vita a un luogo dove sia possibile questo confronto franco e aperto
tra le varie componenti politiche, con l’intendimento di ricercare insieme il bene
comune per le nostre città e territori, che si traduca in un progetto concreto di
sviluppo e di coesione sociale. Infine, al di sopra della politica ci deve essere
la consapevolezza che la solidarietà non è solo un metodo necessario, ma una via obbligata
se si vuole rinascere insieme e costruire il futuro a partire non dai nostri interessi
ma dagli ultimi.
D. – Sul futuro dei giovani gravano diverse incertezze. Quali
sono oggi le priorità per rispondere alle loro legittime attese?
R. – Occorre
dimostrare in forme efficaci ai giovani che si crede nelle loro capacità e creatività,
che il mondo degli adulti ha fiducia in loro non solo a parole ma con mirate scelte
politiche, economiche e sociali. Questa è anche l’unica via per richiamarli alle loro
responsabilità sul futuro, perché vivano da protagonisti e non assumano il disagio
generazionale o la precarietà di vita e occupazionale come alibi al disimpegno. E’
anche importante lavorare a livello formativo per l’orientamento sia dei giovani che
delle loro famiglie, sostenere concrete possibilità di avviarsi anche attraverso il
credito agevolato sulla via di costruire impresa e non solo a farne parte come dipendente,
ridare dignità e valore al lavoro manuale con oculate scelte politiche e culturali
che favoriscano ad esempio l’imprenditoria associata dei giovani. Il problema dei
giovani, tuttavia, va oltre il “trovare un lavoro”: hanno bisogno di contare su educatori
forti nella testimonianza della loro vita coerente con i valori umani, spirituale
e morali che dicono di insegnare loro. Occorre riannodare poi il dialogo tra le generazioni
a cominciare dalla famiglia con il contributo determinante della scuola e delle comunità
parrocchiali, associazioni e oratori. Dobbiamo lasciarci interpellare dalla loro estraneità
al nostro mondo culturale, sociale e pastorale. E soprattutto andare a incontrarli
nei loro luoghi dove si ritrovano fossero pure i ipermercati o posti di divertimento
per proporre loro scelte alternative ricche di umanità e di spiritualità incarnata
nel loro vissuto.