2012-09-16 19:09:42

Proteste nel mondo islamico: gli Usa evacuano le ambasciate in Tunisia e Sudan


Non si allentano le tensioni nel mondo islamico, contro gli Usa, in seguito alla diffusione del film blasfemo su Maometto. Centinaia di persone sono scese in piazza in Turchia, Libia, Pakistan e Afghanistan. Proteste antiamericane anche in Belgio con 230 persone finite in manette. Il dipartimento di Stato americano lancia l’allarme e chiede ai cittadini statunitensi di Tunisia e Sudan di tornare in patria, quindi promette: Washington è pronta a reagire. Il servizio di Cecilia Seppia: RealAudioMP3

Le piazze di Ankara, Bengasi, Kabul si riempiono di nuovo di manifestanti che gridano slogan durissimi contro gli Stati Uniti e bruciano bandiere a stelle e strisce dopo la diffusione del film, di un regista americano, definito blasfemo e offensivo nei confronti di Maometto e di tutto l’Islam. Si protesta anche in Siria, in Bangladesh e persino in Belgio dove la polizia ha arrestato oltre 230 persone; 50 invece i manifestanti finiti in manette in Libia, perché ritenuti responsabili dell’assalto al consolato statunitense a Bengasi, dove ha trovato la morte anche l'ambasciatore americano Christopher Stevens e altri tre funzionari. Tra loro –secondo fonti governative- anche alcuni stranieri provenienti da Mali e Algeria. “E’ probabile che le proteste proseguano anche nei giorni prossimi ma si stanno stabilizzando”, ha detto il segretario alla Difesa americano Leon Panetta, che assicura: "siamo pronti a reagire". E mentre l’ambasciatore Usa all’Onu Susan Rice definisce molto offensiva la pellicola, ribadendo però che i responsabili delle violenze verranno fermati, il Dipartimento di Stato americano lancia un allarme sicurezza e chiede allo staff diplomatico e ai cittadini statunitensi di lasciare la Tunisia e il Sudan teatro in questi giorni di dure contestazioni, costate la vita a diverse persone. Intanto secondo quanto riferisce la Cnn la sicurezza libica avrebbe messo in guardia i diplomatici americani sull’esplodere di eventuali conflitti, tre giorni prima del sanguinoso attacco a Bengasi.

Per una riflessione sul film anti-islamico e sulla natura delle proteste che ha scatenato, Fabio Colagrande ha intervistato padre Samir Khalil Samir, docente dell’Università Saint Joseph di Beirut:RealAudioMP3

R. – Questo film è una provocazione fortissima e trattandosi del fondatore dell’islam certamente è un attacco ai musulmani. D’altra parte, si deve dire che non è ammissibile che un attacco verbale o un film provochi una risposta di violenza fisica, di distruzione. Questo purtroppo sta succedendo troppo spesso nel mondo islamico. Devo notare che, per esempio, in India è successa una cosa simile in questi giorni, ma subito gli imam hanno detto di non reagire con la violenza fisica e ciò vuol dire, quindi, che c’è una presa di coscienza. Infine, un conto è che una persona, un gruppo o un regista abbia fatto una violenza visibile, verbale, non fisica, all’islam, e un conto è dire che l’America stia dietro a tutto. Questo è l’errore che si fa spesso da noi: generalizzare dicendo che sia l’America, che sia l’Europa, che sia l’Occidente oppure i cristiani. Questo appartiene ad una mentalità medievale e il senso della "Primavera araba" è proprio uscire da questa mentalità medievale.

D. – Lei pensa che dietro a questi atti di violenza ci siano anche i piani di qualche organizzazione fondamentalista?

R. – Certamente, perché quando hanno attaccato in Libia, sono venuti con le armi e non si fa per caso. Poi, mi domando se, per il fatto che sia accaduto l’11 settembre, non fosse voluto. La diffusione quasi simultanea di questo movimento dice che c’è un piano dietro: c’è gente pronta ad intervenire. I musulmani dicono: “Noi siamo musulmani, siamo religiosi, ma lasciateci vivere la nostra fede come la intendiamo, non venite ad obbligarci ad essere musulmani a modo vostro, a modo dei fondamentalisti, dei salafiti”.








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