2012-09-15 17:28:08

Violenze nel mondo islamico. L’Onu: atti ingiustificabili a prescindere dalle motivazioni


Resta alta la tensione nel mondo islamico all’indomani degli attacchi in diversi Paesi contro sedi diplomatiche straniere, soprattutto statunitensi. Al Qaeda incita ad attaccare altre ambasciate Usa. L’Onu ha approvato una risoluzione di ferma condanna aggiungendo che le violenze sono ingiustificabili a prescindere dalle loro motivazioni. Il servizio di Amedeo Lomonaco: RealAudioMP3

Le Nazioni Unite chiedono che venga garantita adeguata protezione alle ambasciate e al personale diplomatico nel rispetto degli obblighi internazionali. Gli Stati Uniti stanno dispiegando forze militari in diversi luoghi, almeno 18, in tutto il mondo islamico. “Dobbiamo essere preparati – ha detto il segretario americano alla Difesa Leon Panetta – nel caso in cui le proteste dovessero sfuggire di mano”. Il Sudan e lo Yemen hanno respinto la richiesta, avanzata da Washington, di inviare truppe per proteggere le ambasciate americane a Khartoum e a Sanaa. Proseguono intanto le indagini sull’attacco al consolato americano a Bengasi, costato la vita all’ambasciatore statunitense Chris Steven e ad altri tre suoi connazionali. L’assalto – ha riferito il presidente dell’Assemblea nazionale libica Mohammed Magarief – era “pianificato”. “Non è stata – ha aggiunto - una manifestazione pacifica degenerata in un attacco armato”. Dopo le violenze che ieri hanno provocato almeno 9 le vittime, tra cui quattro a Tunisi e tre a Khartoum, nuove proteste si registrano oggi in Egitto, in Australia, alle Maldive e in India. In Afghanistan i talebani hanno rivendicato un attacco, costato la vita a due marines, aggiungendo che si tratta di una vendetta per gli “insulti” contenuti nel film su Maometto prodotto negli Stati Uniti. Al Qaeda, che incita ad attaccare altre ambasciate Usa, ha rivendicato l’assalto a Bengasi aggiungendo che si è trattato di una vendetta per l’uccisione di Abu Yahya al-Libi.

Per diverse fonti occidentali, tra cui la Cnn, il video su Maometto è stato un pretesto per scatenare l’11 settembre scorso la rivolta nel mondo islamico. Emanuela Campanile ha chiesto un commento a Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all'Università Cattolica di Milano: RealAudioMP3

R. – Dire che il film sia solo un pretesto significa sminuire il senso di offesa che i fedeli musulmani hanno nei confronti di chiunque attacchi la loro religione e le basi fondanti della loro religione. Detto questo, è evidente che c’è un’agenda politica che è preparata da anni – nel caso di al Qaeda – e da mesi nel caso dei salafiti, e questo film, questo incidente rientra perfettamente nei loro piani.

D. – Quindi, possiamo dire che non è la società civile che si sta scatenando per protesta?

R. – Teniamo presente che il concetto di società civile in certi Paesi è molto diverso dal nostro, tanto è vero che la maggior parte delle proteste sono avvenute in Paesi con una forte presenza tribale come nello Yemen, in Libia, in Afghanistan oppure in Paesi dove ci sono forti tensioni politiche. Allora il film serve, è un pretesto per portare avanti le proprie agende politiche. Lo si vede, ad esempio, benissimo in Egitto. Lì, al di là dello sdegno che accomuna tutta la popolazione musulmana e non solo, sono stati i salafiti i più aggressivi ed i più violenti. Perché? Perché i salafiti vogliono premere sul presidente Morsi, che è un presidente islamista, dei Fratelli musulmani; ma i salafiti li vogliono condizionare e vogliono rubare loro un po’ la scena.

D. – Che cosa possiamo prospettare, ovviamente in riferimento al futuro più prossimo?

R. – La Primavera araba sembrava dover portare una ventata di cambiamento e l’ha portata; ma non mi sembra stia portando né una grande democrazia reale né una grande stabilità. Quello che sembra stia a venire - oltre alle guerre civili e sanguinose come in Sira, come gli scontri passati in Bahrein, in Yemen e in Libia - è un sistema di “democrazie illiberali”, dove una maggioranza – in questo caso i partiti islamisti – prende il potere e vuole condizionare sempre più tutta la società, anche le minoranze non musulmane. Lo si vede bene in Tunisia dove un partito islamico, Hennada, che doveva essere un partito molto moderato, pragmatico in realtà in pochi mesi, cambiando la Costituzione in modo estremamente peggiorativo per le donne, per le minoranze, ha dato segnali effettivamente preoccupanti.

D. – Quindi, sarà più difficile anche trovare punti di contatti nel dialogo?

R. – Non c’è alternativa al fatto del dialogo, di parlarsi e di tenere aperti dei ponti. Quello che rimane è la difficoltà, anche perché non solo ci sono differenze valoriali ma, soprattutto con il mondo sunnita, non ci sono autorità religiose, gerarchiche ed è quindi molto difficile instaurare un dialogo che sia accettato da tutti. E soprattutto io credo che dalla parte del mondo islamico ci sia davvero bisogno di una forte discussione interna, di rinnovamento per avere un atteggiamento meno dogmatico, meno letterale nell’interpretazione della propria legge religiosa. Per avere un vero dialogo occorrerebbe, da parte dei musulmani, una maggiore flessibilità al loro interno, per tollerare letture meno rigidamente uniformi.








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