Mons. Gino Battaglia: il relativismo non è un antidoto per il fondamentalismo
La questione del film anti-islam e delle violenze scaturite è questione complessa
da affrontare sotto diversi profili, da quello culturale a quello di ordine pubblico.
In ogni caso, il dibattito sulle religioni e sulla libertà religiosa si fa sempre
più importante nel mondo. Di questo dibattito e della necessità di buone leggi sulla
libertà religiosa Fausta Speranza ha parlato con mons. Gino Battaglia,
direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della
Conferenza episcopale italiana:
R. – Innanzitutto
ricordiamo che uno dei fondamentali diritti della persona umana è quello della libertà
religiosa, che è il banco di prova di ogni governo che voglia dirsi rispettoso dei
diritti, appunto. Questo diritto si fonda sulla dignità della persona umana. Anche
la dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae diceva, appunto, che gli esseri
umani devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli o di qualsiasi potere
umano, cosicché in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza
né sia impedito di agire in conformità con la sua coscienza. Chiarito questo, va detto
che una legge che regoli il campo della libertà religiosa ha un significato non solo
per la società o per le società come le conosciamo oggi, ma anche per quelle future,
sempre più pluraliste. Può, infatti, contribuire a stemperare tensioni, a prevenire
conflitti che oggi possiamo solo immaginare. Già facciamo questo nostro discorso in
un contesto sociale, culturale e religioso cambiato: molti Paesi occidentali – come
il nostro, per esempio – si sono trasformati in luoghi di incontro e di coabitazione
fra genti diverse. Ma c’è da considerare che già era una realtà per molti Paesi del
resto del mondo. Occorre allora che ovunque, e soprattutto dove c’è intolleranza,
sia garantita questa libertà nei termini in cui dicevo prima. E questo non è scontato
come quasi quotidianamente purtroppo vediamo. Ma non è scontato neanche in Occidente!
Le differenze sono sempre esistite, ma ciò che è nuova è forse la prossimità delle
differenze, la loro convivenza cioè obbligata. Si tratta allora di trasformare una
vicinanza casuale - frutto delle dinamiche storiche, sociali, per esempio dell’immigrazione
- in una vera coabitazione. In Italia, ad esempio, una legge in materia di libertà
di religione colmerebbe una lacuna legislativa: la legislazione attuale risale al
1929 e quindi in tutt’altra epoca. Non c’è altro strumento per regolare i rapporti
fra lo Stato e una comunità religiosa che l’intesa. Il futuro che si deve costruire
deve rendere possibile la convivenza tra le diverse fedi.
D. – Altrimenti
c’è una banalizzazione delle tematiche?
R. – Certamente.
D. – Mons.
Battaglia, è indubbio che libertà religiosa e religioni stiano finendo sempre più
sotto i riflettori di analisti e difensori dei diritti umani. Ma ci possono essere
delle modalità non precisamente corrette di impostare l’analisi? Parlare soltanto
di tolleranza, per esempio, può essere molto riduttivo, così come parlare di questione
meramente personale ….
R. – La legge sulla libertà religiosa in un Paese
europeo, per esempio, non può essere uno strumento per la laicizzazione della società.
Non è il relativismo - e con relativismo intendiamo il concetto che tutti le fedi
si equivalgono – che può essere base del dialogo e della coabitazione e non può nemmeno
essere il criterio ispiratore di una eventuale legislazione. Faccio l’esempio dell’Italia
ma credo che valga anche oltre i nostri confini: più cresce il pluralismo, più si
pone l’esigenza del dialogo e proprio per questo dobbiamo essere più radicati nelle
diverse identità, altrimenti i rischi – opposti e simmetrici – sono fondamentalismo
e relativismo. Il relativismo, infatti, non è un antidoto contro le pretese di assolutezza,
cioè contro il fondamentalismo. Se l’affermazione della verità non può mai pregiudicare
la libertà, è vero anche che la libertà non può abrogare la verità: la libertà è sempre
libertà per qualcosa, per una verità appunto. Dico queste cose per evidenziare che
le comunità religiose hanno caratteristiche proprie, hanno un profilo specifico del
quale va tenuto conto: per le implicazioni storiche, culturali e anche spirituali.
Queste comunità non sono mere realtà associative, come talvolta c’è la tentazione
di fare progettando un’eventuale legislazione in materia di pluralismo religioso.
Una legge sulla libertà religiosa, allora, non può semplicemente livellare, magari
al minimo, queste diverse comunità. Esse sono, al contrario, con le loro identità
fra gli artefici della coabitazione di domani.