Libia: l’impegno delle Suore della Sacra Famiglia a Derna
Era il 1921 quando le Suore della Sacra Famiglia arrivarono in Libia per opera dello
stesso fondatore dell’Istituto, il beato Pietro Bonilli. Da allora, come ricorda l’agenzia
AsiaNews, è iniziata la silenziosa opera delle religiose che le ha portate a essere
parte integrante della comunità islamica locale. Suor Celeste Biasolo, superiora del
convento di Derna, racconta l’esperienza dell’ordine in questi luoghi e il legame
che si è instaurato con la popolazione. Una popolazione sorpresa “dall’amore per il
prossimo che ci ha insegnato Gesù”. “Loro sanno che siamo religiose e cattoliche,
ma attraverso il lavoro quotidiano con malati e soprattutto anziani essi hanno notato
in noi un’umanità diversa dalla loro, che li ha sorpresi", così affermano le suore
che parlano di "Chiesa del silenzio" e affermano che a"iutando in modo gratuito e
con amore chi soffre", testimoniano il messaggio di Gesù fra i popoli di altre fedi.
“Ogni giorno i parenti di queste persone ci ringraziano definendoci angeli in terra.
Io sono ormai in questo Paese da 28 anni, alcune mie consorelle, tutte italiane, sono
in missione da più di 40 anni. Dopo così tanti anni non ci sentiamo più italiane,
ma dernine, e tali ci considerano gli abitanti di qui”. “Nei mesi di guerra – racconta
suor Celeste – non abbiamo avuto nessun problema, abbiamo continuato il nostro lavoro.
Ogni giorno qualcuno veniva a far visita al convento per verificare la nostra condizione”.
L’unico incidente avvenuto è stato il furto di un’auto di proprietà del convento,
episodio che ha scioccato tutta la comunità musulmana di Derna a tal punto da spingere
i capi delle 150 tribù della città a fare una cerimonia pubblica per offrire le proprie
scuse ufficiali alle religiose. “A partire dal 15 agosto fino alla fine del Ramadan
- aggiunge la suora - la nostra casa è diventata una sorta di attrazione: una processione
continua di persone ha affollato il nostro cortile per diversi giorni. I tre quarti
degli abitanti ci hanno fatto visita con le loro famiglie, portando in dono cibo,
vestiti e tutto quello che poteva essere utile per noi e per il nostro lavoro”. In
poco tempo i capi tribù hanno fatto allestire una tenda in un’ala dell’ospedale distrutta
dalla guerra, per agevolare il lavoro con i malati e hanno promesso il dono di un’auto
nuova. “Questa è stata una dimostrazione di grande affetto e riconoscenza della nostra
missione. Un vero e proprio esempio di comunione e di convivenza. (L.P.)