Dopo l'attentato contro il consolato USA a Bengasi, Obama invia due navi da guerra
in Libia
E' ancora altissima la tensione in Libia dopo l’attacco sferrato contro il consolato
USA di Bengasi; attentato che ha causato la morte dell’ambasciatore statunitense Chir
Stevens e di tre funzionari e che segue la produzione di un film che offende la religione
islamica. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
Sarebbe solo
un pretesto quello del film blasfemo. In realtà alla base dell’attacco di Bengasi
ci sarebbe un’operazione terroristica pianificata in grande stile da Al Qaeda, per
vendicare l’uccisione del suo numero due al Libi; un nuovo 11 settembre – e la data
scelta è stata proprio quella – per far capire agli americani che la rete del terrore
è tutt’altro che sconfitta. Una sfida a Washington, insomma, che risponde inviando
nell’area due navi da guerra, un numero imprecisato di droni, 200 marine. Tutti i
cittadini statunitensi, inoltre – diplomatici e non – dovranno lasciare immediatamente
il Paese, mentre l’ambasciata di Tripoli sarà solo un’unità di emergenza. “Resteremo
vigili– ha tuonato Obama – ma non molliamo”, ha poi aggiunto. “La responsabilità è
di pochi – ha riferito invece, il segretario di Stato americano, Hillary Clinton –
la quale conferma che l’impegno per una Libia libera e stabile rimarrà prioritario”.
E se l'avversario di Obama nella corsa alla Casa Bianca, Romney, lo attacca, il mondo
è solidale al presidente: Onu, Nato, Unione europea, e poi i capi di Stato di singoli
Paesi. La condanna è unanime come il cordoglio per le vittime e la richiesta alle
autorità libiche di protezione per i funzionari stranieri. Ma a Washington non si
nascondono le preoccupazioni per un’ondata di violenza che potrebbe propagarsi a dismisura.
Sotto osservazione, ad esempio, è la situazione al Cairo, dove una folla di manifestanti
è tornata ad assediare anche ieri l'ambasciata statunitense. Tensione alta pure in
Tunisia, a Gaza, così come in Afghanistan, dove i talebani hanno minacciato vendette
contro il film incriminato. Della gravità dell'episodio del difficile contesto libico
e del film Fausta Speranza ha parlato con mons. Giovanni Innocenzo Martinelli,
vicario apostolico di Tripoli.
R. – La Libia si trova in un momento particolare
di crescita, con le elezioni e poi dopo le elezioni la scelta del nuovo governo. Abbiamo
bisogno di una certa tranquillità, una certa serenità, per poter anche aiutare la
gente a fare le proprie scelte, a camminare - come si dice - con i propri piedi. Tutto
ciò che capita e che sta capitando proprio in relazione alla propria sensibilità e
anche la propria religione certamente non giova anche sul piano politico. Maometto
è la persona in cui si identifica la comunità arabo-musulmana e quindi toccare questa
figura è qualcosa di molto grave. Non ci si rende conto. Si può parlare di questioni
politiche e non si può essere d’accordo ma, quando si tocca Maometto, diventano assolutamente
tutti sensibili e attenti e si identificano tutti in lui. Io non so questo film di
che cosa esattamente parli però se ha toccato la sensibilità del mondo arabo parlando
in qualche modo non rispettoso di Maometto sicuramente non fa bene. D. – In Libia
oltre alla precarietà, alla sensibilità, come diceva lei, sul piano religioso, però
da parte della gente c’è anche la voglia di pace… R. – Tutti vogliono la pace però
ci sono già conflitti interni di estremismi, di fondamentalismi, che si fanno avanti.
Quindi questi fatti che vengono dall’esterno aumentano e accrescono la rabbia di questa
gente che va trovando e cerca veramente la pace all’interno della comunità.
Poche
ore prima il sanguinario attentato a Bengasi, anche in Egitto, c'era stato un tentativo
di assalto all'ambasciata degli Usa al Cairo. Nell'intervista di Fausta Speranza,
la riflessione del prof. Marco Lombardi, docente di politiche della sicurezza
all'Università Sacro Cuore di Milano:
R. – In termini
di quadro generale abbiamo un’enorme polveriera, che va dall’Egitto alla Tunisia.
Questo dobbiamo averlo in testa. Nello specifico della Libia, abbiamo un Paese altamente
frammentato tra interessi tribali e interessi del radicalismo più o meno jihadista
e un governo nazionale che sta cercando di fare qualcosa. Siamo quindi nella totale
incertezza del dopo-Gheddafi.
D. – Leghiamo anche l’altro episodio, perché
anche al Cairo c’è stato un tentativo di attacco all’ambasciata con dichiarate proteste
per il film sulla vita di Maometto che risulta offensivo per l’islam. Quindi c’entra
questo discorso religioso…
R. – Certamente c’entra questo discorso religioso,
in quanto – come sempre nell’islam – politica e religione vanno di pari passo. Quindi
dobbiamo sempre tenere in considerazione questa dimensione più ampia e che in sé non
è contestabile. Ricordiamo che in relazione ai fumetti pubblicati qualche anno fa
in Danimarca ci sono state dimostrazione con centinaia di migliaia di persone, che
hanno messo a ferro e fuoco in Medio Oriente ambasciate occidentali. Quindi, ce la
si poteva aspettare. Rispetto alla zona, come stavo dicendo, siamo di fronte ad una
progressione del radicalismo in tutto il Nord Africa: l’Egitto ne è una dimostrazione.
Ancora più drammatica la dimostrazione libica, perché inserita in un contesto di guerra
– diciamocelo pure – o di non controllo tribale, etnico, religioso e politico della
Libia. Ma attenzione! Qualcosa si sta estendendo sulla Tunisia. In questi ultimi mesi
e in queste ultime settimane abbiamo visto come - in maniera surrettizia, se vogliamo
– di fatto la legge islamica radicale, quella cioè che è intesa come sharia, stia
diventando legge di governo semplicemente riappellandosi al primo articolo della Costituzione
che dice che la religione islamica è religione di Stato. La conseguenza è che tutto
quello che non è coerente con la religione islamica è fuorilegge. Quindi con manifestazioni
diverse – in Egitto con una manifestazione contro il film; in Libia con un attacco
con omicidio; e in Tunisia con aspetti normativi – stiamo di fatto assistendo ad una
progressiva e drammatica radicalizzazione del Nord Africa. Questo è il punto politico
fondamentale. E’ eccessivo forse dirlo per ora ma il Nord Africa potrebbe essere il
nuovo Afghanistan.
D. - In tutto questo, proviamo a spendere una parola per
questo film, che è provocatorio, che risulta offensivo e che in questo momento storico,
meno che mai, non ci voleva… R. – Qui ci va un po’ di intelligenza. Concordo con
lei. Io credo che sia del tutto inutile richiamarsi alla libertà di espressione: bisogna
essere liberi di esprimersi, ma secondo me bisogna anche considerare sempre quali
sono le conseguenze della propria comunicazione e, dunque, assumersi le responsabilità.
Detto in altri termini: un po’ di intelligenza strategica, quando si raccontano delle
cose a un pubblico, sapendo quelle che potrebbero essere le reazioni, secondo me è
richiesta. E’ evidente che un film del genere avrebbe causato delle derive come quelle
che sono avvenute. E’ un momento storicamente difficile per tutti noi e ciascuno di
noi è chiamato ad assumersi nel suo piccolo le sue responsabilità, anche chi produce
un film!