Sarajevo: chiude il Meeting dei popoli. Andrea Riccardi: il coraggio di scrivere
una nuova storia
Si è concluso ieri sera a Sarajevo, in Bosnia, l’incontro delle religioni mondiali
per la pace, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Da domenica, si sono susseguiti
incontri tra leader di tutte le fedi, personalità politiche e intellettuali di ogni
parte del mondo riunitisi per discutere delle tematiche e delle sfide più urgenti
per la società di oggi. Ieri sera dal palco, allestito nel centro storico della capitale
della Bosnia ed Erzegovina, si è levato l’appello di pace. Il prossimo appuntamento
con l’incontro tra le religioni sarà a Roma nel 2013. Da Sarajevo Francesca Sabatinelli Sarajevo, terra
ferita dall’ultima guerra combattuta in Europa, insanguinata dall’odio tra vicini,
tra diverse religioni e differenti etnie, è divenuta stasera depositaria dello spirito
di Assisi e ora si farà portatrice di quel messaggio di pace che richiama le religioni
tutte al dovere di insegnare a vivere insieme attraverso il dialogo, la stima reciproca,
il rispetto della libertà e della differenza. L’appello di questa sera, letto a conclusione
dell’incontro e alla presenza di tutti i capi religiosi, nega che odio, divisione,
violenza, stragi e genocidi vengano da Dio, chiede che in nessun altro luogo si faccia
la guerra in nome delle differenze, perché al contrario vivere tra diversi è molto
fecondo. Soprattutto, nel messaggio, si rende omaggio a Sarajevo, città che torna
nelle emozionate parole del cardinale Roger Etchegaray che dal palco racconta di quando
nella Sarajevo assediata entrò come inviato di Giovanni Paolo II. Alla città il porporato
chiede di avere coraggio, ai suoi abitanti di tornare a imparare a vivere insieme,
senza preconcetti, forti di un passato segnato da tolleranza religiosa e da scambi
culturali. La storia di Sarajevo è un ammonimento, richiama Andrea Riccardi, fondatore
di Sant’Egidio, Sarajevo deve restare una e plurale, e proprio da qui si alza quindi
l’invocazione: mai più odi e guerre fratricide. Sono le religioni che possono aiutare
a vivere insieme e a comprendere che questa condizione non è una maledizione ma una
benedizione.
Dunque da Sarajevo è arrivato un messaggio di pace. Ascoltiamo
il ministro e fondatore della Comunità di Sant'Egidio Andrea Riccardi:
R. – A Sarajevo
è un messaggio fecondo, perché proprio a Sarajevo c’è bisogno di Assisi. Sarajevo
è una città multietnica, multireligiosa, in cui ad un certo punto si è rotto qualcosa,
come in tante città multiple del mondo. Ma c’è bisogno dello spirito di Assisi perché
si fondi la convivenza. Del resto io dico che tutte le città del mondo diventeranno
come Sarajevo: saranno città multiple. In ogni città del mondo ci sarà bisogno di
questo spirito, perché il multiplo, l’etnico e il religioso non diventi conflitto.
D. – Voi avete incontrato ovviamente i leader religiosi: che messaggio singolarmente
hanno mandato?
R. – I messaggi sono diversi, perché le memorie sono diverse!
C’è però un clima di pace e di convivenza maggiore. Questo è tanto importante!
Sulle
speranze di pace ed i frutti che questo incontro può portare in una città come Sarajevo,
martoriata da anni di guerra, ascoltiamo l’arcivescovo di Vrhbosna-Sarajevo, cardinale
Vinko Puljic, al microfono della nostra inviata:
R. – Io spero
che questa celebrazione crei un clima positivo ma il processo per la convivenza, il
rispetto dell’altro, la tolleranza, la ricerca di una via positiva per costruire tutto
questo non è finito, anzi comincia.
D. - Quindi lei ritiene che questo incontro
organizzato da Sant’Egidio qui a Sarajevo porterà frutti importanti?
R. - Io
sono contento e grato per questo incontro che è stato organizzato a Sarajevo. Dopo
tanti feriti e tanti morti, dopo tanti giochi politici, questa preghiera e questo
meeting danno un messaggio positivo per il dialogo, molto importante, e danno anche
un appoggio ai politici.
D. - Che cosa si chiede ai politici?
R. - Io
aspetto che i politici risolvano questa situazione, ma non solo i politici locali,
anche la politica internazionale. Bisogna creare uno Stato normale dove siamo tutti
uguali: questo è l’accordo di Dayton che è bloccato in Bosnia-Erzegovina; bisogna
realizzare questo accordo e creare uno Stato normale.
D. - Il premier italiano
Monti e non soltanto lui ha parlato di quanto sia importante per la Bosnia-Erzegovina
entrare nell’Unione europea…
R. - In Bosnia Erzegovina bisogna realizzare il
modello dell’Europa: siamo diversi ma bisogna vivere insieme come in Europa. È molto
importante aiutare soprattutto questa piccola comunità cattolica che vive a Sarajevo,
che vive in Bosnia-Erzegovina. Aspettiamo più sostegno per sopravvivere in questo
Paese, specialmente per far ritornare i profughi e per vivere in una pace stabile
e con prospettive.
E ieri all’incontro di Sarajevo si è parlato di immigrazione.
Il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti,
il cardinale Antonio Maria Vegliò, nel suo intervento, ha fatto il punto sull’attività
pastorale della Chiesa, la cui prospettiva specifica è passare dall’emergenza immigrazione
all’integrazione degli immigrati nelle società. Il servizio di Roberta Barbi:
L’obiettivo
finale è chiaro: il processo d’integrazione sarà concluso quando le società multiculturali,
in cui, cioè, popoli e culture sono semplicemente accostati, diventeranno società
interculturali, dove i diversi gruppi etnici presenti interagiranno tra loro positivamente.
È il cuore dell’intervento del cardinale Vegliò nel dibattito sull’immigrazione: il
presidente del dicastero pontificio ha ricordato come la Chiesa, spesso lasciata sola
ad occuparsi degli immigrati e a difenderne i diritti umani, sia attenta a promuovere
un umanesimo che sia davvero “planetario”, che raggiunga i 214 milioni di immigrati
nel mondo, secondo una recente stima dell’Organizzazione internazionale per le Migrazioni.
In fedeltà al Vangelo, l’azione della Chiesa non si esaurisce al livello assistenziale
o educativo, ma si mette a servizio della fraternità universale. In questa prospettiva
– avverte il porporato – è necessario rifiutare entrambi gli estremi, ossia l’assimilazione
dell’immigrato nel gruppo di maggioranza, ma anche l’esclusione da esso. La Chiesa,
quindi, non può e non intende colmare il vuoto delle istituzioni pubbliche, che devono
adottare finalmente politiche migratorie adeguate all’oggi, non affidate all’intuito
di qualcuno e nemmeno alla buona volontà di qualcun altro, ma garantire la salvaguardia
dei diritti degli immigrati, ai quali corrisponde, però, l’obbligo del rispetto dei
relativi doveri. Fondamentale, infine, il ruolo dei laici cristiani, perché l’integrazione
è “un processo di tutta la società”.