Mons. Lahham: pastori e fedeli in trepida attesa per l'arrivo del Santo Padre nel
Paese dei cedri
Due anni dopo il Sinodo per il Medio Oriente, Benedetto XVI si appresta nel suo viaggio
apostolico in Libano a consegnare ai Patriarchi e ai vescovi della regione l’Esortazione
apostolica post-sinodale “Ecclesia in Medio Oriente”. La visita del Papa assume dunque
un rilevo per tutti i pastori e i fedeli della regione. Una dimensione, questa, che
viene sottolineata da mons. Maroun Lahham, vicario del Patriarca di Gerusalemme
dei Latini per la Giordania. L’intervista è del nostro inviato a Beirut, Alessandro
Gisotti:
R. - E’
una visita per tutto il Medio Oriente e ci sono sentimenti di gioia, di orgoglio per
questo. Proprio in questi difficili momenti per tutti i Paesi del Medio Oriente e
del Nord Africa basta la presenza del Santo Padre, bastano le parole del Santo Padre
- qualsiasi esse siano - come segno di incoraggiamento e di solidarietà della Chiesa
cattolica con questi Paesi, dove i musulmani soffrono e dove i cristiani soffrono.
D.
- Il primo motivo del viaggio è la pubblicazione e la consegna dell’Esortazione Apostolica
post-sinodale per il Medio Oriente. Quali frutti si potranno raccogliere da questo
documento, soprattutto per i pastori?
R. - Aspettiamo che il Santo Padre ci
richiami sempre al nostro dovere verso questo piccolo gregge, che è presente qui dai
primi secoli e che è sempre testimone della morte e della Risurrezione di Cristo.
Inoltre desideriamo che questa Esortazione Apostolica ci confermi nella nostra missione
di "guardiani della fede" in questi Paesi, incoraggiando così i nostri cristiani -
cattolici e non - a rimanere sempre testimoni di Cristo in questi Paesi. Cerchiamo
infatti di fare quanto possiamo per contenere l’esodo dei cristiani, affinché la Terra
Santa e tutti gli altri Paesi che hanno visto la presenza cristiana sin dai primi
secoli non diventino un "museo archeologico".
D. - Il Medio Oriente ha sete
di pace: pensiamo a quello che succede in Siria e quanto questo si ripercuote anche
su tutta la regione, in particolare con l’emergenza umanitaria dei profughi molto
sentita in Giordania… Quali speranze di pace ci sono, che possano nascere anche da
questa visita del Papa?
R. - Aspettiamo dal Santo Padre tre parole. La prima
per coloro che commettono atti di violenza, perché non si può rispondere alla violenza
con la violenza. Finora ci sono stati 30 mila morti in Siria e questo è un sacrilegio!
La seconda parola è una parola di incoraggiamento a questi popoli che soffrono, a
questi giovani che escono nelle strade alla ricerca di una vita più degna, più libera
e più democratica. Una terza parola alle potenze internazionali, affinché cessino
di intervenire solo per i loro interessi economici, senza badare alla sofferenza di
questi Paesi: Stati Uniti, Europa, Russia se vogliono aiutare che lo facciano senza
alcun interesse!
D. - Il Libano, come la Giordania e come tutto il Medio Oriente,
si caratterizza per una popolazione molto giovane: che cosa può dire e che cosa può
dare il Papa ai giovani?
R. - Questi giovani aspettano delle parole di incoraggiamento:
chiedono sì una vita più libera, meno oppressa, più degna, ma che non abbiano mai
in nessun modo la tentazione di commettere atti di violenza. Basterebbe che il Papa
dicesse: “Cari giovani siamo con voi, capiamo le vostre aspirazioni, ma per l’amor
di Dio non spargete il sangue!”.