Mali: uccisi 16 fondamentalisti. Si acuisce il conflitto tra governo e ribelli tuareg
Ancora tensioni in Mali. Domenica 16 appartenenti di una setta fondamentalista islamica
sono stati uccisi dall'esercito di Bamako a nord-est della capitale. I militari hanno
aperto il fuoco dopo che il veicolo su cui i 16 viaggiavano non si è fermato ad un
posto di controllo. Un episodio che rilancia il confronto armato tra il governo centrale
e il nord, conquistato a gennaio, da gruppi tuareg fondamentalisti, proprio nel giorno
della morte in Mali del leader di Al Qaeda nel Sahara. Quali le vie d’uscita a questa
crisi? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Enrico Casale, africanista
della rivista dei gesuiti “Popoli”:
R. – Di uscite
pacifiche temo che per il momento non ce ne siano. Il governo di Bamako ha richiesto
la scorsa settimana l’intervento di una forza militare dell’Ecowas, la Comunità degli
Stati dell’Africa occidentale, per lanciare un’offensiva verso il Nord e riprendere
le regioni che sono state occupate a partire da gennaio. Quindi, temo che possa addirittura
esserci una ripresa del conflitto.
D. – Che cosa può aver scatenato una reazione
così violenta da parte dell’esercito? Forse il timore di inserimenti fondamentalisti
o di Al Qaeda all’interno dei gruppi musulmani nel Nord?
R. – L’incidente è
a mio parere un incidente di frontiera, nel quale i soldati dell’esercito maliano
hanno sparato contro un convoglio che ritenevano potesse minacciarli. In realtà, però,
non si sa bene se sia soltanto un convoglio isolato oppure forse un tentativo di invadere
le regioni centrali da parte delle forze fondamentaliste, che attualmente governano
le regioni del Nord del Mali.
D. – Tra l’altro, è giunta la notizia della morte
in un incidente del leader di Al Qaeda, noto con il nome “Emiro del Sahara”. Questo
vuol dire che la rete terroristica ha messo gli occhi sul Mali e su altri Paesi, che
sono in fase di forte destabilizzazione?
R. – Certamente, ma la morte dell’emiro
segnala non solo la presenza di Al Qaeda, ma anche, oltre al movimento di liberazione
dell’Mnla, gruppo fondamentalmente laico che ha dato l’avvio all’offensiva contro
Bamako, nel Nord del Mali, si stanno affermando sempre di più formazioni di carattere
fondamentalista islamico, jihadista, con diverse componenti: tuareg, straniere e popolazioni
di etnia africana.
D. – Quali le ricadute di questa situazione sulla popolazione
civile, che in questi casi, come al solito, paga sempre il prezzo più alto?
R.
– Non solo paga il prezzo più alto in termini di privazioni della propria libertà
di movimento, della possibilità di vivere in modo sereno, ma anche di professare un
Islam che al Nord del Mali è sempre stato molto tollerante, molto aperto verso le
altre culture, forse perché quell’area era un’area di grande transito, di grandi commerci,
in cui s’incontravano culture molto diverse. Segnalo anche che fino ad alcuni secoli
fa esistevano fiorenti comunità ebraiche e cristiane. Quindi, è sempre stato un luogo
d’incontro. Questa guerra porta, invece, allo scontro tra componenti diverse e fondamentaliste,
che in parte arrivano anche dall’estero.