Il messaggio del Papa apre a Sarajevo l’incontro mondiale delle religioni organizzato
dalla Comunità di Sant’Egidio
All’inganno della cultura dello scontro risponda il valore del dialogo impostato sui
binari saldi della verità, dalla quale sgorga la pace. E’ quanto si legge nel messaggio
del Papa, a firma del cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, inviato al cardinale
Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, dove ieri si è aperto l’incontro tra le religioni
organizzato da Sant’Egidio. Alla Comunità è giunto anche il saluto del presidente
italiano Napolitano, che ha invitato soprattutto i giovani a preservare la memoria
della tragica guerra dei Balcani e a riflettere sulla necessità di tutelare i diritti
della persona attraverso il confronto e il riconoscimento dei valori spirituali di
cui ogni cultura è portatrice. Da Sarajevo Francesca Sabatinelli: La strumentalizzazione
della religione come motivo di violenza e il “no” a Dio in nome di una visione del
tutto secolarizzata dell’uomo mettono a rischio la pace. Nel suo messaggio di saluto,
a firma del cardinale Segretario di Stato Bertone, il Papa, ricordando quanto già
osservato lo scorso anno ad Assisi, spiega come gli effetti del convergere di queste
due forze negative si sono sperimentati proprio qui a Sarajevo, dove la guerra venti
anni fa ha portato morte e distruzione. Ad Assisi Benedetto XVI parlò dell’alleanza
tra credenti e laici alla ricerca della verità e della pace, un messaggio che rilancia
ora in occasione dell’incontro di Sarajevo, dove la presenza di persone di religioni
diverse può favorire il messaggio di pace, che “ha bisogno di essere sostenuta da
cuori e menti che cercano la verità, si aprono all’azione di Dio, tendono le mani
agli altri”. Continuano la minaccia del terrorismo, le guerre che insanguinano la
terra, e per questo il mondo ha bisogno di pace. Il Papa rivolge quindi il suo pensiero
al Medio Oriente, alla drammatica situazione in Siria, e al suo imminente viaggio
in Libano, augurando riconciliazione e tranquillità a quelle terre. Non è facile
vivere insieme quando si diversi, è una difficoltà che provoca tante sofferenze.
Lo ha sottolineato Andrea Riccardi, ministro per la cooperazione internazionale e
l’integrazione, e fondatore di Sant’Egidio, pensando a quanto accaduto a Sarajevo
e non solo. Sarajevo da esempio di convivenza è divenuta, nonostante le guerre e le
sofferenze, un simbolo. E’ oggi una città depositaria di dolorose e differenti memorie
e di una concordia non ancora ritrovata. Ed è qui che si ritrovano le persone di
diverse religioni nello spirito di Assisi. Perché è dalle religioni che scaturisce
un messaggio di pace, perché le religioni non sacralizzano la guerra, anche se questo
è avvenuto in passato. Solo la pace è santa, non la guerra. Per i Balcani la pace
durevole passa per l’Unione Europea. E’ stato il messaggio del presidente del consiglio
europeo Van Rompuy, per il quale il futuro è l’Unione Europea e non bisogna cercare
altrove. Van Rompuy si è rivolto direttamente ai cittadini di Sarajevo, persone che
godono della larga vista d’Europa, ha ricordato i caduti di questa città, la cui morte
non sarà vana, ha concluso, ma non deve essere vendicata, ma onorata ristabilendo
ciò che Sarajevo era prima: un faro di tolleranza e spiritualità. In questi anni
abbiamo compreso meglio quanto le religioni siano tornate a essere una realtà importante
per la coesione sociale e per la pace nel mondo, è intervenuto il premier italiano
Monti, che ha indicato come la crescente globalizzazione ci pone di fronte a scenari
e a sfide sempre nuovi. In Europa i Balcani sono da sempre il luogo della mescolanza
tra popoli, culture e religioni, ha aggiunto, questa regione è la faglia dove genti
diverse si sono incontrate, con i loro scontri ma anche con la voglia di vivere in
pace. Qui più che in altri luoghi, dunque, si gioca la capacità dell’uomo di vivere
con il suo simile, anche se appare così diverso da lui. Sull'importanza di questo
incontro di Sarajevo ascoltiamo ora il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco
Impagliazzo al microfono della nostra inviata Francesca Sabatinelli:
R. - Sarajevo
è la città che ha aperto e chiuso il XX secolo: la prima guerra mondiale è iniziata
a causa di un attentato a Sarajevo, mentre il secolo si è concluso con la guerra dei
Balcani, e Sarajevo è stata una delle città simbolo di quella guerra. Allora, si sono
strumentalizzate tutte le religioni per fomentare lo scontro tra le tante popolazioni
che compongono il mosaico dei Balcani, oggi essere a Sarajevo ha proprio il significato
di dire che nel nuovo secolo le religioni non possono essere altro che strumento di
pace e l’esempio migliore per costruire una società del vivere insieme.
D.
- Ma il messaggio delle religioni quali strumento di pace in che modo potrà insinuarsi
nella società bosniaca, che ancora oggi presenta ferite non rimarginate?
R.
- Nella preparazione dell’incontro di Sarajevo sono avvenuti dei fatti positivi di
grande valore, di grande rilievo, ad esempio il fatto che le comunità religiose abbiano
lavorato insieme a Sant’Egidio, con grande armonia, per costruire queste evento. La
presenza del Patriarca serbo-ortodosso da Belgrado, accanto al Gran Muftì di Bosnia,
al capo della comunità ebraica di Bosnia, del cardinale Puljic, arcivescovo della
città, sta proprio a significare questo. Io ritengo che dopo 20 anni in cui questi
capi religiosi non si erano mai riuniti insieme a Sarajevo e, soprattutto, in cui
non avevano mai fatto qualcosa in comune, questo sia il primo grande segno positivo,
anche a livello immaginario e popolare, che arriva come messaggio.
D. – Del
resto è la prima volta che la comunità di Sant’Egidio organizza questo incontro lavorando
assieme alle altre religioni…
R. - Sì, normalmente gli incontri sono organizzati
dalla comunità insieme alla Chiesa locale. Qui, grazie all’intelligenza, alla fede
e alla lungimiranza del cardinale Puljic, tutte le religioni presenti in Bosnia sono
state implicate su un piede di parità nell’organizzazione.
D. - Subito dopo
la guerra ci fu un importante esodo dei cattolici, che nel tempo è divenuto un’emorragia:
riuscirà questa presenza a tornare a quella di una volta?
R. - Se noi siamo
a Sarajevo è anche per dire ai cattolici che c’è spazio anche in una situazione di
minoranza e per dire alle altre comunità che devono essere rispettose di questa antica
presenza. Oggi Sarajevo è soprattutto una città musulmana e il tema delle religioni
e del dialogo si vede più nei monumenti che non nella presenza delle persone. Ecco,
la Chiesa non è un monumento: è il popolo di Dio, una Chiesa viva, e noi speriamo
fortemente che dando un grande segno di incoraggiamento con l’incontro di Sarajevo
si possano spingere tanti a ripensare la loro scelta e a tornare a Sarajevo e in Bosnia.
D. - Si nota una forte presenza di personalità provenienti dal Libano. Il
motivo è nell’imminente viaggio di Benedetto XVI, che è proprio a ridosso dell’incontro
di Sant’Egidio?
R. - Il Libano è sempre presente, da anni, negli incontri di
Sant’Egidio, perché è una terra così cara a noi cristiani, alla tradizione orientale,
e rappresenta realmente un laboratorio dell’incontro tra le religioni e tra i popoli.
Giovanni Paolo II diceva: “Il Libano è un messaggio”. Sono anni che personalità libanesi,
di tutte le comunità religiose, sono presenti ai nostri incontri e quindi tanto più
a Sarajevo la loro presenza ha un significato, alla vigilia del viaggio del Papa.
D. – Questo di Sarajevo è un appuntamento che tende le braccia all’Europa
sin dall’assemblea inaugurale, dove interverranno Mario Monti e Herman Van Rompuy,
presidente del Consiglio d’Europa…
R. - L’Europa ha vissuto con grande sofferenza
l’ultima guerra dei Balcani e l’Europa vuole essere fortemente presente con Mario
Monti e con Herman Van Rompuy per dire che i Balcani sono Europa e che i Balcani possono
diventare anche un modello per tutta l’Europa su come costruire nel futuro una società
del vivere insieme. L’Europa vuole soprattutto aiutare i Balcani a vivere ancora di
più un tempo di pace e di prosperità.