2012-09-07 08:19:46

Obama chiude la Convention dei democratici: "Possiamo farcela"


Alla convention dei democratici in Nord Carolina Barak Obama rilancia la sua politica per il Paese e accetta la nomination per la Casa Bianca. Non ha negato le difficoltà che vivono gli Stati Uniti ma ha detto: “sono stato eletto per dire la verità”. ''I repubblicani vogliono il vostro voto ma non hanno un piano" - ha sottolineato - nel suo discorso a tutto tondo su politica interna ed estera. Il servizio è di Elena Molinari:RealAudioMP3

Le parole chiave del 2008, speranza e cambiamento, sono state rimpiazzate da scelte difficili per le quali il presidente ha detto agli americani di prepararsi. Barack Obama ieri notte, ha ugualmente chiesto agli elettori di dargli fiducia per altri quattro anni, perché possa finire il lavoro iniziato. “Non mi avete eletto per dirvi quello che volete sentire, ma per dirvi la verità”, ha detto, accettando la nomination del partito democratico. Non ha fatto grosse promesse, il presidente in carica. Un milione di posti di lavoro entro il 2016, contro i 12 promessi dai repubblicani. Obama ha anche garantito che assumerà 100mila nuovi insegnati e dimezzerà le tasse universitarie. Il tutto, ha spiegato, mentre metterà in piedi un piano per ridurre il debito pubblico di 4mila miliardi in dieci anni. Al di là dei numeri, il capo della Casa Bianca ha detto che punterà sulle piccole imprese. E che si rifiuterà di approvare nuovi tagli alle tasse per i più ricchi. Obama, che ha citato il suo rivale Romney solo una volta, non ha parlato di aborto o matrimonio gay, che la piattaforma del suo partito approva. Ha parlato invece di scelta fra un’America per privilegiati e un’America per tutti. A concludere la convention è stato il cardinale Dolan, presidente dei vescovi americani, che ha pregato in casa democratica come aveva fatto la scorsa settimana alla convention repubblicana.

Per un commento al discorso di Obama, ascoltiamo Paolo Mastrolilli, che per il quotidiano "La Stampa" ha seguito la Convention democratica. L'intervista è di Massimiliano Menichetti:RealAudioMP3

R. – Obama ha difeso strenuamente il lavoro della sua amministrazione, dicendo che il lavoro non è completo, ma che ci sono stati molti progressi che sono stati compiuti, posti di lavoro creati e l’inizio – diciamo - della fine della crisi economica. Allo stesso tempo ha rivendicato i successi che ha avuto in politica estera - e in particolare, naturalmente, l’uccisione di Osama Bin Laden - e anche sul piano dell’industria con l’importante risultato ottenuto rilanciando l’attività delle aziende automobilistiche. Quindi, in sostanza, ha detto agli americani che la situazione è difficile, ma sta migliorando e se loro vogliono che questa svolta continui devono avere fiducia in lui, devono continuare a scommettere su di lui, perché solamente lui ha un piano che è aperto effettivamente a tutti quanti gli americani, che punta sull’istruzione, che punta sugli investimenti, che punta sul dare la possibilità a tutti quanti di avere un’occasione per avere successo all’interno della società americana. Un programma che naturalmente si contrappone a quello dei suoi avversari repubblicani, che ha invece accusato di voler fare solamente gli interessi delle classi più ricche.

D. – Obama ha detto anche: “I tempi sono cambiati, anche io sono cambiato”…

R. – Quello che diceva è che dopo quattro anni lui ha l’esperienza del presidente: sa quali sono i problemi, sa come bisogna affrontarli e quindi gli americani possono avere più fiducia in lui, perché presumibilmente non ripeterà gli errori che ha commesso nel primo mandato e sarà più pronto ad essere efficace nel secondo. Questa Convention sicuramente lo ha rilanciato. La cosa molto significativa che ha fatto Obama - mi pare nel suo discorso - è stata quella di cercare di rivolgersi a tutti quanti gli americani. Quindi, in sostanza, ha dipinto il programma dei suoi avversari come un programma partitico, che fa appunto gli interessi solamente delle classi più ricche, e il suo come un programma invece aperto a tutti.

D. – Per quanto riguarda la politica interna Obama ha allontanato l’idea di chiedere sacrifici alla classe media e agli studenti; per la politica estera cerca di ribadire che gli Stati Uniti sono un attore di primo piano: questo rispondendo un po’ anche alle accuse che gli sono state mosse dai repubblicani, che dicevano che questo ruolo degli Stati Uniti si è indebolito nel mondo…

R. – Questo lo hanno fatto tanto lui quando il vicepresidente. Uno spettatore distratto, che non avesse saputo prima di accendere il televisore che era in corso la Convention democratica, probabilmente avrebbe pensato – ascoltando il discorso di ieri sera – di trovarsi in realtà alla Convention repubblicana. E questo perché i democratici hanno approfittato del fatto che i repubblicani nella loro Convention non hanno parlato di politica estera: i democratici hanno quindi occupato, in sostanza scippandolo, questo tema della politica estera, della sicurezza nazionale e dei militari, che era un tema tradizionale dei repubblicani. Lo hanno fatto in due maniere. Il vicepresidente Biden ha detto ai repubblicani che sbagliano a scommettere contro gli americani e sbagliano a pensare che l’America sia in declino. Biden ha contrastato questa visione, dicendo che non è così, che l’America non è in declino e che i suoi giorni migliori devono ancora arrivare. Dopodiché Obama ha difeso i risultati che ha ottenuto in politica estera – che sono, appunto, la fine della guerra in Iraq, l’eliminazione di Osama Bin Laden e l’inizio del processo che porterà alla fine della guerra in Afghanistan – ribadendo soprattutto che gli Stati Uniti restano, quindi, la potenza mondiale indispensabile, l’unica superpotenza e l’unica in grado di continuare a guidare, ma a guidare secondo dei criteri diversi da quelli che erano stati adottati dalle ultime amministrazioni repubblicane, come quella di Bush. Facendo in modo, allo stesso tempo, che si possa risparmiare sulle spese militari per utilizzare i soldi che le amministrazioni precedenti – secondo lui – avevano sprecato in queste guerre, per cominciare a ricostruire gli Stati Uniti.







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