Vicenda Alcoa. Mons. Miglio: speranze dall'interessamento della multinazionale svizzera
Terza notte a 70 metri d’altezza per i tre lavoratori dello stabilimento Alcoa di
Portovesme, asserragliati sul silos della fabbrica di alluminio per protestare contro
la possibile chiusura dello stabilimento. Uno di loro, cardiopatico, ha accusato un
malore ed è stato invitato a scendere, ma si è rifiutato di farlo. Il ministro del
Lavoro, Elsa Fornero, si è detto "vicino a questi lavoratori che rischiano di perdere
il posto" anche se "sarebbe sbagliato dire che noi garantiremo i vostri posti di lavoro”.
Intanto la multinazionale svizzera Glencore, già attiva in Sardegna, ha manifestato,
in una lettera al governo, interesse per le sorti dell’azienda. Un segnale positivo,
come ci spiega mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari, al microfono di
Antonella Palermo.
R.
- Era un segnale molto atteso: questo segnale è arrivato dopo giorni, dopo settimane
di tensioni e difficoltà. Quindi, tutto lascia pensare che sia un segnale dato in
maniera molto responsabile viste le tensioni, vista la posta in gioco, viste il numero
di persone, di famiglie che sono legate a questa speranza. Voglio vedere in questo
davvero un segno di speranza, un passo avanti - anche se arriva dopo tanta attesa,
anche se non scioglie ancora tutta l’incertezza - ma penso davvero che possa essere
un segnale interessante.
D. - Il giorno della verità potrebbe essere venerdì,
quando Glencore, i tecnici del governo e forse anche la regione Sardegna dovrebbero
incontrarsi al Ministero dello Sviluppo Economico, proprio per riesaminare i termini
della questione Secondo lei ci sono le condizioni per un accordo?
R. - Mi pare
che le condizioni ci dovrebbero essere, la regione Sardegna si è impegnata e si sta
impegnando molto. Io voglio sperare che anche da parte del governo non manchino non
solo la volontà di supportare lo sforzo della regione Sardegna, ma anche che venga
tenuta presente la tradizione e la cultura industriale della zona di Portovesme. Anche
questo è importante. Sono incertezze che si trascinano da tanto tempo e non si può
tenere un’area, una regione, sospesa per così a lungo. Le condizioni, certo, ci sono
se si tiene conto non soltanto del prezzo dell’energia, ma se si tiene conto anche
di altri valori che sono in gioco, innanzitutto il lavoro e le famiglie. Come ci insegna
Benedetto XVI nella Caritas in Veritate: “Non è pietismo andare incontro al
diritto al lavoro e alla necessità delle famiglie di avere una sicurezza, ma è un
valore economico anche questo”, c’è una tradizione anche industriale e culturale che,
certamente, è un fattore importante. L’altro valore importante è il destino di un’area,
di una zona come il Sulcis Iglesiente, per non dire della Sardegna: questo è uno dei
casi emergenti in questo momento, ma anche qui la Sardegna ha bisogno anche di una
presenza industriale, per un’economia che sia più solida. Allora, il prezzo dell’energia
va visto e va rivisto in questo contesto di carattere più generale, per garantire
un’economia solida di tutta la regione Sardegna. Questo sono convinto che vada a beneficio
anche del Paese.
D. - Ma perché non si vuole investire davvero nel Sulcis,
secondo lei?
R. - Questo rimane un po’ un mistero: bisogna considerare la tradizione
industriale del Sulcis - stiamo parlando dell’Alcoa, ma c’è anche tutto il problema
minerario - considerare anche la storia di questo territorio, dove ci sono infrastrutture
da migliorare. Questa è però una zona dove, con un po’ più di attenzione e soprattutto
riconsiderando il discorso dell’energia - pensando ad esempio alla Carbosulcis - le
possibilità tecniche di utilizzare al meglio anche il carbone estratto, sono investimenti
che possono avere un ritorno importante per l’economia della regione. Certo, questo
implica costi e investimenti che le istituzioni, e non soltanto l’impresa, devono
fare.