Il Papa all'udienza generale: Gesù tiene nelle sue mani la Chiesa di tutti i tempi
È Cristo che ha in mano i destini della Chiesa e per capirne gli orientamenti un cristiano
non ha che un modo: pregare. All’udienza generale nuovamente celebrata in Aula Paolo
VI, dopo la parentesi estiva a Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha proseguito la sua
“scuola di preghiera”, incentrando la catechesi sul Libro dell’Apocalisse. Il servizio
di Alessandro De Carolis:
Puoi essere
la persona più sola sulla terra, la più triste: se preghi, avrai consolazione “nei
momenti bui” e imparerai ad amare Dio, e a sentire accanto l’amicizia di Cristo e
così non potrai più fare a meno di pregare, in una continua dinamica d’amore che cambia
la vita. È un messaggio coinvolgente nella sua immediatezza quello che Benedetto XVI
desume sfogliando le pagine di un libro che egli stesso definisce invece “difficile”,
il Libro dell’Apocalisse. Il Papa si è addentrato nella struttura del testo di S.
Giovanni, presentandone sinteticamente le tre fasi di cui si compone la prima parte.
Nella prima fase, protagonisti sono l’assemblea e il lettore che presenta ad essa
un messaggio affidato da Gesù all’Evangelista. Siamo alle battute iniziali, nelle
quali l’assemblea si mette in atteggiamento di preghiera, ovvero, ha indicato il Pontefice,
in “ascolto di Dio che parla”:
“La nostra preghiera deve essere anzitutto
ascolto di Dio che ci parla. Sommersi da tante parole, siamo poco abituati ad ascoltare,
soprattutto a metterci nella disposizione interiore ed esteriore del silenzio per
essere attenti a ciò che Dio vuole dirci. Tali versetti ci insegnano inoltre che la
nostra preghiera, spesso solo di richiesta, deve essere invece anzitutto di lode a
Dio per il suo amore, per il dono di Gesù Cristo, che ci ha portato forza, speranza
e salvezza”.
“Afferrata dall’amore di Cristo”, l’assemblea viene esortata
a “coglierne la presenza nella propria vita”. Dice il suo “sì” a Dio il quale, ha
affermato Benedetto XVI, si le si manifesta dunque “come l’inizio e la conclusione
della storia”, “attivo con il suo amore nelle vicende umane” del passato e del futuro,
fino al “traguardo finale”. Anche in questo caso, ha osservato il Papa…
“La
preghiera costante risveglia in noi il senso della presenza del Signore nella nostra
vita e nella storia, e la sua è una presenza che ci sostiene, ci guida e ci dona una
grande speranza anche in mezzo al buio di certe vicende umane; inoltre, ogni preghiera,
anche quella nella solitudine più radicale, non è mai un isolarsi e non è mai sterile,
ma è la linfa vitale per alimentare un’esistenza cristiana sempre più impegnata e
coerente”.
Nella seconda fase, Cristo si fa più vicino all’assemblea, lasciandosi
vedere dalla comunità, parlandole e agendo. A questo punto il lettore presenta le
immagini che lo Spirito evoca in Giovanni. È un lungo, potente momento contemplativo,
dominato dai segni della luce e del fuoco, simbolo – ha detto il Papa – “dell’intensità
gelosa” dell’amore di Dio, della sua eternità, della sua vittoria sul male. Giovanni
fa “una stupenda esperienza del Risorto”, al punto che sviene e cade come morto:
“Una
cosa bella questo Dio davanti al quale viene meno, cade come morto. E’ l’amico della
vita, e gli pone la mano sulla testa. E così sarà anche per noi: siamo amici di Gesù.
Poi la rivelazione del Dio Risorto, del Cristo Risorto, non sarà tremenda, ma sarà
l’incontro con l’amico”.
Nella terza fase, il lettore propone all’assemblea
un messaggio in cui Gesù parla in prima persona. Un messaggio indirizzato alle sette
Chiese dell’Asia Minore, ma che – ha concluso Benedetto XVI – va inteso diretto “alle
chiese di ogni tempo”:
“Tutte le Chiese devono mettersi in attento ascolto
del Signore, aprendosi allo Spirito come Gesù richiede con insistenza ripetendo questo
comando sette volte: ‘Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese’.
L’assemblea ascolta il messaggio ricevendo uno stimolo per il pentimento, la conversione,
la perseveranza, la crescita nell’amore, l’orientamento per il cammino”.
Molti,
fra i tanti, i saluti indirizzati da Benedetto XVI ai giovani, specie ai cresimandi,
in diverse lingue al termine della catechesi. In particolare, ai ragazzi reduci dal
Genfest di Budapest, il Papa ha detto di essere “forti nella fede cattolica” lasciando
“che la gioia semplice, l'amore puro e la pace profonda che provengono dall'incontro
con Gesù Cristo vi rendano testimoni luminosi della Buona Novella fra i giovani delle
vostre terre”.