Testimonianze dal Genfest 2012. Il cardinale Erdő: giovani così sono una grande speranza
Si è concluso con una preghiera per la pace, ieri mattina, nella piazza Santo Stefano
a Budapest, il raduno mondiale dei giovani del Movimento dei Focolari, il Genfest.
Il tema scelto Let’s Bridge, con la metafora della costruzione di ponti e legami di
dialogo tra culture e religioni diverse, ha accompagnato per tre giorni oltre 12 mila
giovani venuti da 150 Paesi, ispirando coreografie, concerti, momenti di approfondimento
e testimonianze sul valore della fraternità. “Guardate all’amore che è Dio e che non
vi delude”: questo l’invito lasciato sabato, alla colorata platea, dalla presidente
dei Focolari, Maria Voce, mentre ieri mattina a celebrare la Messa con i giovani è
stato il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest. Gabriella
Ceraso gli ha chiesto che impressione ne abbia tratto e cosa pensa possano offrire
al mondo di oggi:
R. - Oggi come
oggi, in tanti siamo disorientati e vedere un gruppo così consistente di giovani che
si dedicano a una cosa nobile è già una testimonianza. Bisogna dare una fisionomia
più umana, più cristiana, a tutto ciò che si compie. La carità, l’amore, il rispetto
verso la cultura, la lingua, l’identità, la ricchezza di ciascun popolo, di ciascuna
persona, sono cose che non possono mancare e per questo penso che l’incontro possa
arricchire veramente tutta l’attività della Chiesa proprio nel contesto della Nuova
Evangelizzazione.
D. - La fratellanza universale, filo conduttore del Genfest,
oggi è più impellente che mai. Così Maria Voce presidente del Movimento dei Focolari
ha detto ai giovani. Condivide questo pensiero?
R. - Certamente, perché i rapporti
sono sempre più frequenti e allora anche la mancanza della fratellanza si sente sempre
di più. Bisogna dedicare molta attenzione a come si sviluppano i rapporti tra i popoli,
tra gli esseri umani.
D. - Lei ha fiducia nelle nuove generazioni?
R.
– Io sono convinto che Dio è capace di agire attraverso le nuove generazioni, nelle
quali molti membri hanno anche un’apertura spirituale e grazie a questa apertura possono
aiutare il mondo di oggi. Ho una grande fiducia.
Tra i giovani cristiani presenti
a Budapest, anche una folta delegazione da tutta l’area mediorientale e dal Nord Africa.
Rappresentati il Libano, la Libia, la Giordania, la Siria, l’Egitto e l’Iraq. Rony
è un ragazzo di Baghdad: Gabriella Ceraso gli ha chiesto cosa ha significato
vivere questa esperienza:
R. – E’ una
cosa straordinaria potere essere con i giovani di tutte queste razze, colori e credo…
E’ una ricchezza indescrivibile. Sento che devo prendere questa realtà che sto vivendo
qui e portarla con me in Iraq.
D. – Come vivi nella tua terra, con la tua comunità,
“l’amare il prossimo tuo come te stesso”, cioè la regola d’oro che Chiara ha lasciato?
R.
– E’ una cosa difficile, non è sempre facile, perché noi cristiani in Iraq siamo diventati
molto pochi… Quando ci vedono che siamo gentili e sorridiamo a volte se ne approfittano.
Le prime due o tre volte non siamo capiti, ma dopo con la nostra insistenza nell’amare
vediamo che l’altro comincia a rendersi conto che c’è qualcosa di diverso, di nuovo.
La cosa più bella è che quando uno fatica veramente per amare - così che a un certo
punto dice “non ce la faccio, più di così non posso” - allora comincia in quel momento
la risposta: gli altri cominciano ad amare anche loro.
D. – Che cosa significa
per voi che vivete in Iraq la fraternità, lottare per conquistare questo valore…
R.
– Noi eravamo un Paese unito, ci volevamo bene, ci accoglievamo reciprocamente. Adesso
c’è tanta diffidenza, ci sono gruppi che si sono messi gli uni contro gli altri. Però,
nello stesso tempo, stanno nascendo gruppi che dicono: basta, facciamo qualcosa di
diverso per ritornare alle origini. Dopo avere sentito le esperienze al Genfest ho
capito che noi, il nostro piccolo gruppo di cristiani, dobbiamo tornare a vivere prima
di tutto fra di noi e come cerchi concentrici che si vanno aprendo influiremo su altri
e su altri ancora… Questo per noi è già vivere per la fratellanza.
D. – Quindi,
vedere il volto di Gesù nell’altro è possibile anche laddove c’è la guerra e questo
volto spesso è un nemico?
D. – E’ molto difficile, perché quando c’è la guerra
la prima cosa che uno pensa è a se stesso. Quando ti rendi conto che l’altro ha bisogno
di te, anche di qualcosa di semplice, di piccolo, in quel momento ti dici: questo
è Gesù. Ed è lì che incominciamo.
D. - Che impegno ti assumi prima di tornare
in Iraq?
R. – Costruire questi ponti nel mio popolo iracheno.
Armar
è arrivato a Budapest da Amman in Giordania. E’ la prima volta che ha vissuto l’esperienza
del Genfest. Le sue impressioni al microfono di Gabriella Ceraso:
R. – Vivere
il Genfest per me è stato un momento storico, perché noi giovani in Medio Oriente
non possiamo trovarci insieme a causa della situazione politica. Invece, qui ci siamo
riusciti. Ascoltando gli altri ragazzi, mi sono reso conto che tutti viviamo le stesse
esperienze. Vedo che le difficoltà sono le stesse e soprattutto mi accorgo che l’umanità
tutta in fondo è unita da Dio. In Giordania, mi porto tutta questa bellezza, questa
umanità, che ho scoperto e che mi spinge a ricominciare.
D. – In questo periodo,
si parla di Giordania soprattutto per il problema dei profughi siriani edella loro
accoglienza. Come stanno contribuendo i giovani del movimento dei Focolari?
R.
– Ci sono alcuni impegnati nelle associazioni internazionali, come la Caritas o le
Nazioni Unite, che stanno facendo cose concrete, soprattutto stanno montando le tende
nei campi. Noi siamo in continuo rapporto con loro per vedere di cosa abbiano bisogno
e per sostenerli in ogni momento.
D. – Come reagite alle notizie delle violenze
in corso nei Paesi intorno alla Giordania, avete paura?
R. – Adesso, in Giordania
non c’è la guerra ma il fatto che intorno a noi ci sia instabilità riteniamo possa
influire in qualche modo anche sulla nostra vita. Ma siamo pronti a reagire a questa
situazione con il nostro amore.
D. – Cosa ti porti via dall’esperienza del
Genfest?
R. – Voglio annunciare a tutti che nonostante le difficoltà, nonostante
le diversità che esistono tra noi, l’amore reciproco è possibile: l’ho visto e l’ho
vissuto.