2012-09-01 13:51:43

L'ex terrorista Balducchi: avevamo deciso di abbandonare la lotta armata e Martini ci ascoltò


Memorabile fu la consegna delle armi da parte dei terroristi delle Brigate Rosse all’arcivescovado di Milano il 13 giugno del 1984. Qualche giorno prima, il 27 maggio, Ernesto Balducchi, accusato di banda armata, dal carcere di San Vittore aveva scritto al cardinale Martini per chiedere l’intervento della Chiesa in una sorta di mediazione per la ripresa del dialogo con lo Stato. Alessandro Guarasci lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. – Abbiamo perso un grande riferimento culturale. L’attenzione al problema della giustizia nel mondo: questa era la cosa che anche per la mia esperienza è stata importante.

D. – Perché per quel gesto così importante sceglieste proprio il cardinal Martini?

R. – Avevamo seguito un suo interevento a un convegno – mi pare del 1983 – sulla dimensione sociale del peccato: illuminava un po’ l’aspetto sociale, la dimensione sociale del peccato e quindi il suo legame con l’ingiustizia, fondamentalmente. Allora scrissi una lettera a Martini. Mi rispose – non me l’aspettavo. E a quel punto ho incominciato a mettere a fuoco quello che avrebbe potuto essere un dialogo anche concreto.

D. – Quanto ha cambiato in molti di voi la visione della società, quell’incontro con il cardinale Martini?

R. – Noi avevamo già maturato un giudizio negativo sull’esperienza della lotta armata, però ci trovavamo di fronte un muro abbastanza compatto di opinione che non era disponibile a qualsiasi forma di dialogo, e quindi ad accettare anche questo giudizio critico e questa “uscita” ideologica dal campo della lotta armata. Parlare con qualcuno – e di fatto, lui venne anche a Natale del ’83 a San Vittore – ci ha confortato in questo. Devo dire che poi ogni volta che lui toccava quegli argomenti, e che la cosa veniva riportata dalla stampa, notavamo che le nostre istanze erano ascoltate, erano recepite insomma.

D. – La Chiesa – in quel caso, la Chiesa milanese – era una interlocutrice “credibile” per una sorta di riconciliazione all’interno del Paese?

R. – Per noi, era l’unica sponda che avevamo e a cui potevamo accedere. Il resto erano le Procure della Repubblica, che però esigevano nomi, cognomi, dati e fatti, per poi accedere alla cosiddetta legge dei pentiti. Ma non era questo che a noi interessava.







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