Sud Corea: plauso dei vescovi alla sentenza della Corte costituzionale sull'aborto
«Il diritto alla vita è il più fondamentale dei diritti umani» e il diritto della
donna di disporre del proprio corpo «potrebbe non essere tale» essendo maggiore il
diritto alla vita di una persona nascente. La Corte costituzionale della Corea del
Sud - riporta L'Osservatore Romano - ha adottato una decisione senza precedenti in
un Paese dove l’aborto è legale dal 1973 ed è attualmente consentito entro la 28ª
settimana in casi di incesto, violenza, di alcune malformazioni o malattie congenite
del feto o in caso di pericolo per la vita della madre. Secondo i dati diffusi dalla
Chiesa in Corea, sono almeno 1,5 milioni gli aborti praticati ogni anno nella Corea
del Sud. Nella sentenza, i giudici della Corte costituzionale aggiungono anche un
aspetto che apre nuove prospettive nella dimensione della giustizia penale. Una donna
— sostengono — che intende interrompere la gravidanza al di fuori dei casi previsti
dalla legge, commette un reato, in quanto viola il diritto alla vita del nascituro.
Ma i giudici vanno oltre, soffermandosi su alcune motivazioni di ordine psicologico
e sociologico. Se ragioni di natura economica o sociale — evidenziano — fossero utilizzate
per giustificare l’interruzione volontaria della gravidanza si «avrebbe come conseguenza
di rendere l’aborto ancor più comune, accessibile, e si rafforzerebbe così la tendenza
a rimuovere la vita nel seno della società». I presuli cattolici hanno accolto con
soddisfazione la sentenza della Corte che rende giustizia dal punto di vista etico-razionale
e culturale ad una realtà, inviolabile, come quella della vita nascente. Dal canto
loro, le organizzazioni femministe hanno ribadito che la decisione della Corte costituzionale
«viola il diritto delle donne all’autodeterminazione e la loro felicità». La Chiesa
cattolica in Corea del Sud è impegnata da lungo tempo nella lotta in difesa della
vita. Anche se bene accolta dai vescovi la decisione dei giudici costituzionali non
manca di destare qualche perplessità. Secondo padre Casimiro Song Yul, segretario
delle attività pro-vita della Conferenza episcopale coreana, infatti, la definizione,
scientificamente riduttiva, data dalla Corte costituzionale sull’inizio della vita
(cioè quando l’ovulo fecondato si impianta nell’utero della donna) non lascia certo
immuni da perplessità e inquietudine. Infatti, se la vita comincia con l’impianto
dell’uovo fecondato, le manipolazioni sull’embrione umano, come per esempio la fecondazione
in vitro, sono «giustificabili». Per la Chiesa cattolica, ha ricordato, la vita comincia
dal concepimento. (L.Z.)