Siria: strage di bambini ad Aleppo, emergenza profughi
In Siria cresce il numero delle vittime. Secondo l’ultimo bilancio dei ribelli solo
ieri i morti sono stati 147. Ad Ariha nella provincia di Idlib, sono stati trovati
42 cadaveri ammanettati. Nel sud di Aleppo 8 bambini e 9 donne sono stati uccisi in
un raid delle forze governative. Intanto cresce l’emergenza profughi, l’Onu chiede
zone cuscinetto ma su questo la comunità internazionale si divide. Marina Calculli:
La
crisi siriana ancora al centro del vertice dei Paesi non Allineati, in corso a Theheran.
L’Iran ha annunciato la formazione di una troika da inviare sul terreno. Duro il discorso
ieri del presidente egiziano Morsi che ha aspramente criticato il regime, provocando
l’abbandono del summit da parte della delegazione siriana. Intanto l’Aiea, l’agenzia
Onu per l’energia atomica lancia un nuovo allarme: “il governo di Teheran sta accelerando
le sue capacità di arricchimento dell’uranio e ostacola il lavoro degli osservatori”.
Su
questo punto al vertice, anche l’intervento del Segretario generale dell’Onu Ban Ki
moon, che chiede a Teheran di creare fiducia della comunità internazionale. Una posizione
inequivocabile quella delle Nazioni Unite, come conferma al microfono di Cecilia
SeppiaGabriele Iacovino del Centro Studi Internazionali:
R. - È sempre
una posizione di dialogo, di ricerca di un dialogo con Teheran ed evitare un muro
contro muro. Certo è che si tratta di una posizione ferma, a cui l’Iran sarà costretto,
prima o poi, a dare una risposta. Quello che Ban Ki Moon continua a chiedere è, da
parte dell’Iran, di fare dei passi avanti nel dialogo con la comunità internazionale,
e di dimostrare che il proprio programma nucleare, non ha dei fini nascosti o militari.
D.
- Dall’altra parte, anche la rabbia del premier israeliano Netanyahu, che ha definito
“una vergogna per l’umanità”, la partecipazione di 120 Paesi al summit.
R.
- Il movimento dei Paesi non Allineati trova radici profonde nella Guerra Fredda,
ma è ancora una realtà, soprattutto nei contesti internazionali, per esempio anche
in un’organizzazione come le Nazioni Unite. È sicuramente un forum diplomatico importante,
anche perché quando un così vasto numero di Paesi si possono incontrare, il dialogo
è sempre propizio. Da parte israeliana, vi è la ferma posizione di opporsi a qualsiasi
punto di riferimento con Paesi come l’Iran, con cui il governo di Tel Aviv è ai ferri
corti.
D. - Tanti temi sul tavolo di questo vertice. Oggi è stata resa nota
anche l’attesa proposta di Teheran per risolvere la crisi siriana, ovvero la formazione
di una troika composta da Egitto, Iran e Venezuela. Parliamo di un organismo che avrà
un certo rilievo, un qualche ruolo specifico?
R. - Bisogna essere realisti.
La crisi siriana, è una crisi che deve essere risolta solo con l’inclusione nel dialogo
di tutti gli attori, sia regionali che internazionali, che hanno una presenza in questa
crisi. Penso che il ruolo diplomatico, in un contesto mediorientale come quello siriano,
del Venezuela può essere secondario, anche perché fino a quando non si troverà un
dialogo tra i maggiori attori come l’Iran, l’Arabia Saudita, la Turchia e l’Egitto,
non ci potrà essere una soluzione diplomatica di compromesso per mettere pressione
ad Assad, visto che in questo momento soprattutto l’Iran ma anche l’Egitto, cercano
di evitare un dialogo con l’Arabia Saudita.
D. - Il discorso di Morsi è stato
durissimo contro il regime siriano, contro il bagno di sangue che si sta consumando
in Siria. La delegazione di Damasco ha lasciato il summit. Parte già male questa troika,
nel senso che l’Egitto è così fortemente contrario al regime, però ha deciso poi di
entrare a far parte dell’organismo.
R. - È comunque un impostare un dialogo
diplomatico già zoppicante, perché se si chiude la possibilità di parlare con la leadership
siriana, e di intavolare un discorso con la stessa fin dal primo momento, la soluzione
diplomatica viene meno. L’Egitto è molto attivo, anche per cercare di riprendere un
ruolo politico e diplomatico nell’area. Il discorso di Morsi è dettato anche da motivi
politici interni, perché comunque la presidenza Morsi viene all’indomani di una primavera
araba che ha fatto cadere il regime di Mubarak, quindi porsi fortemente in opposizione
all’ultimo regime che sta resistendo a quella che è partita come una primavera araba,
come una rivolta popolare, ma che adesso è una vera e propria guerra civile, è anche
un messaggio forte per rafforzare la propria posizione dal punto di vista politico
interno.