Kenya. L'arcivescovo di Mombasa: i disordini non spazzeranno via la convivenza religiosa
“Non permetteremo all’intolleranza e al fanatismo di attecchire in Kenya. La convivenza
tra musulmani e cristiani nel Paese ha radici profonde e non sarà spazzata via da
pochi, isolati, gruppi di violenti”. Queste le parole di mons. Boniface Lele, arcivescovo
di Mombasa, dove negli ultimi giorni 4 poliziotti sono stati uccisi e quattro chiese
cristiane sono state assaltate nel quartiere di Buxton. All’origine dei disordini,
le proteste di alcuni membri della comunità islamica, maggioritaria nella città, per
il presunto coinvolgimento delle forze dell’ordine locali nell’omicidio di Aboud Rogo,
imam legato alle milizie fondamentaliste somale di al-Shabaab. Per un’analisi su questa
figura e sulla situazione nell’area, Michele Raviart ha intervistato Enrico
Casale, africanista della rivista “Popoli”:
R. – Lo sceicco
era un esponente di quelle frange più estreme dell’islam kenyano. Questi movimenti
sono particolarmente importanti perché hanno connessioni con al Shabaab, che è un
movimento fondamentalista che sta conducendo una guerra terribile in Somalia contro
il governo di transizione nazionale e il contingente dell’Unione Africana. La sua
figura era così importante che i suoi spostamenti erano seguiti direttamente da alcuni
servizi segreti occidentali, prima di tutto quelli degli Stati Uniti e della Gran
Bretagna.
D. – I disordini sono scoppiati perché si crede che ci sia la polizia
del Kenya dietro all’uccisione dello sceicco. Lei che idea si è fatto?
R. –
Potrebbe essere tutto. Potrebbero essere certamente i servizi segreti occidentali
che da tempo ormai puntano all’eliminazione dei capi di questi movimenti fondamentalisti;
potrebbero essere gli stessi fondamentalisti ad averlo ucciso, per togliere di mezzo
un personaggio ingombrante; potrebbe essere stata la polizia kenyana che anch’essa
voleva togliersi di mezzo un provocatore fondamentalista … Il Kenya sta conducendo
un’inchiesta in merito; vedremo nelle prossime settimane …
D. – Negli scontri
sono state attaccate quattro chiese cristiane: c’è il rischio di un’escalation di
violenza su base religiosa?
R. – Il Kenya non ha una tradizione di tensioni
religiose. La comunità islamica e quelle cristiane hanno sempre convissuto in modo
abbastanza pacifico. Certo, l’intervento a fianco del governo di Mogadiscio, del contingente
dell’Unione Africana, delle truppe etiopi e di quelle kenyane potrebbe in qualche
modo scatenare la reazione delle comunità musulmane in Kenya. Teniamo presente che
in Kenya esiste una minoranza etnica somala al Nord, nell’oltre-Juba, e sono presenti
moltissimi profughi e rifugiati somali fuggiti dalla guerra. Potrebbero esserci anche
dei provocatori fondamentalisti musulmani che potrebbero scatenare delle reazioni.
D.
– Qual è la portata di al Shabaab al di fuori della Somalia, e come questi scontri
possono ripercuotersi sulla stabilità della regione?
R. – Va detto che al Shabaab
è una milizia che è in qualche modo collegata alla rete di al Qaeda. Ci sono rapporti
tra al Shabaab e Boko Haram e ci sono rapporti tra al Shabaab e Aqmi, cioè al Qaeda
per il Maghreb islamico. Va detta un’altra cosa: che recentemente l’offensiva dell’esercito
di Mogadiscio ha messo nell’angolo gli al Shabaab i quali, però, non rinunceranno
facilmente alla lotta. Al Shabaab potrebbe cambiare strategia con nuovi interventi
di tipo terroristico, sia in Somalia sia negli altri Paesi.