2012-08-30 19:17:38

Giornata internazionale degli scomparsi, oltre 14 mila nei Balcani. Il card. Puljjc: servono fiducia e riconciliazione


Ricordare le decine di migliaia di persone vittime di sparizioni forzate, fare pressione sui governi affinché non abbandonino le indagini. E’ questo il senso dell’odierna Giornata internazionale degli scomparsi, istituita dalle Nazioni Unite nel 2010. Soltanto nei Paesi della ex Jugoslavia – denuncia Amnesty International in un Rapporto – mancano all’appello oltre 14 mila persone, quasi la metà del totale degli scomparsi nel decennio di conflitti iniziato nel 1991. “Le vittime delle sparizioni forzate nei Paesi della ex Jugoslavia – si legge nel Rapporto – appartengono a tutti i gruppi etnici. Sono civili e soldati, donne e uomini, bambine e bambini.” E i loro familiari sono ancora in attesa di verità e giustizia. La scrittrice Elvira Mujcic è una di loro. Nata in Bosnia Erzegovina, e fuggita in Italia durante la guerra, nel genocidio dell’11 luglio del 1992 ha perso alcuni dei suoi cari. Francesca Sabatinelli l’ha intervistata:RealAudioMP3

R. – Vengo da Srebrenica. La mia storia è legata a questo, perché sono cresciuta lì e da lì sono andata via a causa della guerra, lasciandoci la maggior parte della mia famiglia. Abbiamo ritrovato pochi di loro, perché purtroppo il genocidio di Srebrenica è stato soprattutto nei confronti degli uomini, anche se non esattamente uomini, visto che si trattava di ragazzini dai 12 anni in su. Per cui, la mia vita ha avuto questo punto di rottura: tra quello che è successo a Srebrenica e quello che poi è venuto dopo, che ha cambiato totalmente nella mia vita, perché io non sono più tornata a vivere lì.

D. – E come tantissimi altri bosniaci, anche tu hai perso persone care...

R. –Sì, tantissimi parenti. I più stretti: mio padre e mio zio. Mio zio è stato ritrovato sei anni fa, mentre mio padre non è mai stato ritrovato. Ovviamente, sono stati ritrovati i resti di mio zio.

D. – La giustizia bosniaca ha cercato di far luce circa la sorte di queste persone?

R. – C’è un tribunale in Bosnia incaricato di processare i criminali di guerra minori. I criminali di guerra come Mladić, Karadžić, sono processati dal Tribunale dell’Aja (Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia ndr). Poi ci sono le migliaia e migliaia di persone che hanno eseguito i massacri. C’è quindi un tribunale in Bosnia. Il fatto è che esiste un grosso problema di memoria, forse perché si tratta di un conflitto ancora troppo vicino e perché non c’è stata una reale elaborazione di quello che è successo. Quindi la verità, purtroppo, non riesce a venire a galla, perché c’è ancora una sorta di discussione su quale sia la verità. Essendo la Bosnia composta da bosniaci, musulmani, serbi e croati, ovviamente ognuno racconta la sua versione della storia. E’ quindi molto difficile andare a cercare una verità e avere una giustizia, quando non viene nemmeno riconosciuto il fatto.

D. – Voi familiari delle vittime siete quindi consapevoli che sarà quasi impossibile conoscere la verità…

R. – La maggior parte di noi lo sa che le persone scomparse a Srebrenica in quell’11 luglio sono comunque nelle fosse comuni, si sa che c’è stato un massacro. A livello storico è ancora molto difficile far sì che venga riconosciuto, perché c’è chi dice che a Srebrenica non sono scomparse 8 mila e più persone, ma ne sono scomparse molte meno. C’è chi non vuole utilizzare il termine genocidio. Quindi, si sta giocando in modo un poco burocratico su questioni che avrebbero avuto bisogno di un altro tipo di corso: che avrebbero avuto bisogno, molto probabilmente, di una rielaborazione a livello sociale proprio in Bosnia, tra le persone. Si doveva riuscire a ricostruire questa guerra attraverso sia le vittime che i carnefici. E questo purtroppo non è avvenuto, perché tutti si sono trincerati nelle proprie convinzioni, nel proprio vittimismo. Per questo è molto difficile, secondo me, una verità. Bisognerebbe che tutti ammettessero qualcosa per riuscire a ricomporre questa società, altrimenti in Bosnia sarà davvero difficile, visto che continuiamo a vivere insieme e tuttavia divisi da questo conflitto, che ha creato un muro enorme di odio, di paura, di integralismi religiosi piuttosto che politici.

D. – Cosa ricordi di quella guerra, 20 anni fa?

R. – Io avevo 12 anni quando è iniziata la guerra, ero una bambina alla quale si nascondeva quasi tutto. Mi ricordo il fermento, mio padre ci diceva che dovevamo andare via per due settimane, perché stavano semplicemente succedendo dei contrasti, che era tutto dovuto al fatto che c’era la transizione, perché Tito era morto e la Jugoslavia si stava disfacendo. In realtà, la guerra io l’ho vissuta in un modo molto meno grave rispetto a quello che poteva essere, per esempio, per mia madre. Ho avuto la vera consapevolezza di cosa stesse accadendo quando ho iniziato a perdere i miei cari, quando ho capito che non saremo più tornati a vivere a Srebrenica, quando siamo andati via dalla Jugoslavia e siamo venuti in Italia e siamo diventati profughi. Con quello ho iniziato ad avere la consapevolezza che c’era una vera guerra.

L’iter dei processi, dunque, si scontra con una serie di ostacoli e difficoltà, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo di Sarayevo, cardinale Vinko Puljic:RealAudioMP3

R. – Non è facile fare un processo. Qualche volta, la politica fa più della legge. E’ molto importante che ci sia una situazione stabile, dove si viva insieme con la stessa legge, che custodisca il popolo nei suoi diritti umani e nella sua dignità.

D. – Amnesty International denuncia che i governi di Croazia, Bosnia Erzegovina, ex Repubblica di Macedonia, Montenegro, Serbia, Kosovo sono venuti meno all’obbligo legale internazionale di indagare sui casi di sparizioni forzate. E i Tribunali agiscono con lentezza. Come far emergere quelle verità?

R. – Posso riferirmi solo alla Bosnia Erzegovina, dove il Tribunale lavora e dove ci sono tanti processi. Bisogna trovare il luogo in cui sono sepolti i morti e individuare i responsabili di questi crimini.

D. – Come sta cambiando, se sta cambiando, quell’odio profondo che purtroppo ha portato alla guerra? Ci sono dei segni di speranza, dalle sofferenze si arriva a qualcosa - speriamo - di positivo?

R. – Questo è obbligatorio per tutti. Io guardo al mio Paese, la Bosnia Erzegovina, dove è necessario, come prima cosa, costruire uno Stato in cui tutti siano uguali. Poi, dare una prospettiva, avere fiducia l’uno nell’altro, perché oggi c’è ancora un clima negativo. Siamo diversi, ma non nel peccato.

D. – Guardando in particolare alla Bosnia Erzegovina, come può contribuire la Chiesa per far luce su questi casi di sparizione forzata?

R. – La Chiesa crea un clima per la riconciliazione, per il perdono e la fiducia. Ma per quanto riguarda la giustizia, è lo Stato che deve lavorare.







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