Decine di morti a Damasco sotto le bombe dell’esercito. Appello dell’Unicef per i
bambini siriani
Infuria la battaglia in Siria. Almeno 60 i morti ieri a Damasco sotto le bombe di
alcuni caccia dell’esercito in due quartieri abitati da musulmani sunniti, in prima
linea contro il presidente Assad. Altri 5 uomini giustiziati sono stati rinvenuti
stamane nella città. Sono oltre 25 mila le vittime dall’inizio del conflitto, 1 milione
e mezzo gli sfollati e tra questi sono anzitutto i bambini a patire, come ricorda
il Fondo dell’Onu per l’infanzia. Roberta Gisotti ha intervistato Andrea
Iacomini, portavoce dell’Unicef-Italia.
R. – La situazione
si fa ogni giorno sempre più grave. L’Unicef ha urgente bisogno di fondi per rispondere
a questa emergenza, che è un’emergenza sanitaria – di acqua, di servizi igienici –
tanto in Siria, dove chiaramente nelle zone di Damasco, Aleppo, Homs, le condizioni
sono difficilissime per le persone che sono rimaste intrappolate sotto le bombe del
conflitto, ma anche per continuare a sostenere quelle che invece sono le attività
nei campi di profughi. Ecco perché abbiamo lanciato un appello per raccogliere 54
milioni di dollari, proprio per rispondere alle esigenze dei rifugiati siriani, che
hanno trovato riparo, ad esempio, in un campo molto importante, di Za'atari in Giordania,
e in altri Paesi come Iraq, Turchia e Libano.
D. – Non solo bisogni materiali,
ma anche sostegno psicologico per i piccoli siriani...
R. – Sì, è fondamentale.
Nel campo più grande, che è quello di Za'atari, per esempio, sono stati realizzati
dieci spazi a misura di bambino, che io ho definito 'spazi della speranza', dove questi
piccoli possono ritrovare quelle che sono le condizioni che hanno lasciato nelle loro
città, nel loro Paese. Quindi, possono giocare, imparare alcune lingue come l’inglese,
studiare la matematica, e riabituarsi a quelle che sono le dinamiche quotidiane, oltre
a ricevere un sostegno psicosociale. Non dimentichiamo che questi piccoli bambini
sono stati fortemente violati: hanno visto i propri genitori lasciare le case, molti
di loro hanno perso il papà, che è dovuto andare in guerra o che comunque improvvisamente
è sparito, altri purtroppo hanno visto proprio le bombe cadere. Quindi, è necessario
cercare di sostenerli, soprattutto sotto il profilo psicosociale.
D. – Si parla
molto del conflitto sul piano delle azioni militari e, forse, si parla poco invece
degli aspetti umanitari...
R. – Si parla quasi per nulla della situazione umanitaria
e di quello che si sta facendo in questo momento. Naturalmente è di ostacolo, questa
sorta di difficoltà, alla raccolta fondi e soprattutto al comunicare agli italiani
nel nostro caso, e a tutte le persone del mondo, quello di cui queste persone hanno
bisogno. Non dimentichiamo che c’è una guerra in corso in Siria. Forse questo non
è chiaro a molte persone: ci sono 2 milioni e mezzo di siriani che si trovano sotto
le distruzioni del conflitto, la metà sono bambini e 300 mila di questi sono sotto
i cinque anni. E’ una catastrofe, è inutile negarlo. Quindi c’è bisogno di parlarne,
c’è bisogno dell’aiuto dei media e c’è bisogno non solo di parlare degli scontri a
fuoco, ma soprattutto di quello che purtroppo accade a questi bambini. Abbiamo degli
staff molto ristretti, perché le condizioni di sicurezza sono ridotte al minimo, però
siamo in prima fila e lo siamo da febbraio. Il numero dei morti, ahimè, specialmente
dei bambini, sta aumentando sempre di più.