Siria: oltre 200mila i civili fuggiti dal Paese. Violenze a Damasco e a Tripoli, in
Libano
In primo piano ancora la Siria. Secondo diversi bilanci, agosto è stato uno dei mesi
più sanguinosi dall’inizio del conflitto nel Paese con circa 4mila vittime. Cresce
anche l’emergenza umanitaria, secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, oltre
200 mila persone si sono riversate nei Paesi confinanti la Siria. Intanto l’esercito
di Assad ieri ha ripreso il controllo della zona sud di Damasco dopo pesanti bombardamenti
mentre a Tripoli, in Libano, tre persone sono morte in nuovi scontri e tra i feriti
ci sono anche due giornalisti. Marina Calculli:
Il regime
dispiega le sue forze terrestri e aeree nei bastioni considerati rifugi per i ribelli.
Ieri i combattimenti hanno interessato Homs, Hama, Idleb, Deraa e ancora Aleppo e
la periferia di Damasco. Mentre i giornali e le televisioni di stato annunciano vittorie
gloriose contro quelli che Assad chiama “terroristi”, la realtà pare sempre più quella
di un conflitto senza fine. Ma nonostante l’escalation, in piazza nel tradizionale
venerdì della preghiera di ieri c’erano ancora moltissimi manifestanti. “Il mondo
ci disgusta” hanno gridato denunciando l’impotenza della comunità interazionale. Mentre
Lakhdar Brahimi, che ha succeduto Kofi Annan come emissario dell’ONU per la Siria,
si è detto “spaventato”. Secondo esperti, l’ipotesi francese di imporre una no fly
zone parziale sulla Siria è percorribile ma difficile senza il consenso della Russia.
Per parte sua l’Iran ha convocato la settimana prossima un summit di non allineati
dove avanzerà una proposta di risoluzione del conflitto. Prosegue intanto il drammatico
esodo dei profughi in Turchia, Libano, Iraq e Giordania. Ma secondo l’Alto Commissariato
Onu per i rifugiati “ è sempre più difficile aiutarli tutti”.
Dunque si fa
strada l’ipotesi della Francia di creare in Siria una no-fly zone, intanto ieri a
New York il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha incontrato il nuovo inviato
di Lega Araba e Onu per la crisi in Siria, l'algerino Lakhdar Brahimi che entrerà
in carica ufficialmente a settembre. “Curare gli interessi della popolazione siriana
– ha detto il mediatore – è la priorità della mia azione diplomatica”. Intanto il
ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, in un colloquio con Brahimi ha chiesto
che si lavori per una soluzione politica della crisi. Al microfono di Benedetta
Capelli, il prof. Riccardo Redaelli docente di Geopolitica all’Università
Cattolica di Milano: R. – Il Libano è un Paese che ha attraversato tutto il ventesimo
secolo con una fatica di convivenza tra le comunità; e Tripoli è una città un po’
simbolo perché lì c’è un forte contrasto tra due anime dell’islam e cioè le comunità
sunnite e le comunità sciite. Noi sappiamo che il Libano è un Paese multiconfessionale:
ci sono i cristiani, soprattutto maroniti, poi ci sono altre comunità più eterodosse
come i drusi, poi c’è la maggioranza musulmana che è divisa, in modo crescente, tra
sunniti e sciiti. In Libano, quello che si rischia di avere è una tracimazione della
guerra civile siriana su questo fragile Paese, con una serie di scontri molto forti
tra sciiti e sunniti, e all’interno dei sunniti anche tra gruppi sunniti più moderati
e gruppi più radicali.
D. – Ma c’è il rischio che questa tensione si propaghi
anche ad altre città libanesi?
R. – Ahimé, sì. Il Libano è un’entità fragile
che vive sempre sul filo. Uno sbilanciamento di una parte rischia di provocare il
crollo di tutto l’assetto politico, anche perché le tensioni interne al Libano sono
molto forti. Il Libano è stato controllato per anni dalla Siria; ora i siriani si
sono ritirati, ma sono sempre presenti le loro forze di sicurezza. C’è il problema
di Hezbollah, alleato di Damasco e di Teheran, ci sono i Paesi arabi, soprattutto
quelli arabi del Golfo, che stanno finanziando ed armando i movimenti sunniti più
radicali, i movimenti salafiti e con una politica probabilmente un po’ miope. Poi
c’è l’Occidente che, come al solito, non sa bene cosa fare o che tende sempre a distinguere
tra buoni e cattivi quando la realtà sul terreno è molto più complicata … C’è davvero
il rischio e qualcuno, forse, sta spingendo anche perché il Libano "salti di nuovo
in aria".
D. – Chi, secondo lei?
R. – Mah, sono in molti … Allora, i
Paesi arabi sunniti del Golfo – Qatar e Arabia Saudita in testa – hanno ormai lanciato
una guerra non dichiarata all’Iran e agli sciiti nel mondo arabo. Dall’altra parte,
sia Teheran sia Damasco, prima di crollare, cercheranno di allargare la dimensione
del conflitto, e in particolare Assad cercherà di rendere il più sanguinoso possibile
la caduta del proprio regime, creando altri fronti di instabilità.
D. – Venendo
alla Siria: ora c’è questa posizione della Francia che chiede l’apertura di una parziale
no-fly zone nel Paese…
R. – Io credo che la comunità internazionale abbia "giocato"
molto male in Siria: prima, facendo finta di niente, poi dicendo: “Assad deve andarsene,
deve crollare”. Facendo così ha anche insistito per chiedere la no-fly zone e lo ha
fatto in un modo che ha ricordato quanto accaduto in Libia. In Libia, Francia e Gran
Bretagna hanno voluto a tutti i costi la no-fly zone e poi di fatto hanno dato il
via ad una guerra aerea contro Gheddafi. Quello che si può fare ora è smetterla di
vedere in modo così semplicistico la situazione e, premesso il fatto che Assad è indifendibile
e se ne deve andare perché ha creato un regime corrotto e crudele, la soluzione al
dopo-Assad non può passare solo nelle mani degli oppositori che in questo momento
gli fanno la guerra. Deve invece coinvolgere tutte le comunità siriane: compresi gli
alawiti e compresi i cristiani. Altrimenti, il rischio di frammentazione sarà molto
forte.