2012-08-25 08:02:21

Siria: oltre 200mila i civili fuggiti dal Paese. Violenze a Damasco e a Tripoli, in Libano


In primo piano ancora la Siria. Secondo diversi bilanci, agosto è stato uno dei mesi più sanguinosi dall’inizio del conflitto nel Paese con circa 4mila vittime. Cresce anche l’emergenza umanitaria, secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, oltre 200 mila persone si sono riversate nei Paesi confinanti la Siria. Intanto l’esercito di Assad ieri ha ripreso il controllo della zona sud di Damasco dopo pesanti bombardamenti mentre a Tripoli, in Libano, tre persone sono morte in nuovi scontri e tra i feriti ci sono anche due giornalisti. Marina Calculli: RealAudioMP3

Il regime dispiega le sue forze terrestri e aeree nei bastioni considerati rifugi per i ribelli. Ieri i combattimenti hanno interessato Homs, Hama, Idleb, Deraa e ancora Aleppo e la periferia di Damasco. Mentre i giornali e le televisioni di stato annunciano vittorie gloriose contro quelli che Assad chiama “terroristi”, la realtà pare sempre più quella di un conflitto senza fine. Ma nonostante l’escalation, in piazza nel tradizionale venerdì della preghiera di ieri c’erano ancora moltissimi manifestanti. “Il mondo ci disgusta” hanno gridato denunciando l’impotenza della comunità interazionale. Mentre Lakhdar Brahimi, che ha succeduto Kofi Annan come emissario dell’ONU per la Siria, si è detto “spaventato”. Secondo esperti, l’ipotesi francese di imporre una no fly zone parziale sulla Siria è percorribile ma difficile senza il consenso della Russia. Per parte sua l’Iran ha convocato la settimana prossima un summit di non allineati dove avanzerà una proposta di risoluzione del conflitto. Prosegue intanto il drammatico esodo dei profughi in Turchia, Libano, Iraq e Giordania. Ma secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati “ è sempre più difficile aiutarli tutti”.

Dunque si fa strada l’ipotesi della Francia di creare in Siria una no-fly zone, intanto ieri a New York il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha incontrato il nuovo inviato di Lega Araba e Onu per la crisi in Siria, l'algerino Lakhdar Brahimi che entrerà in carica ufficialmente a settembre. “Curare gli interessi della popolazione siriana – ha detto il mediatore – è la priorità della mia azione diplomatica”. Intanto il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, in un colloquio con Brahimi ha chiesto che si lavori per una soluzione politica della crisi. Al microfono di Benedetta Capelli, il prof. Riccardo Redaelli docente di Geopolitica all’Università Cattolica di Milano:
R. – Il Libano è un Paese che ha attraversato tutto il ventesimo secolo con una fatica di convivenza tra le comunità; e Tripoli è una città un po’ simbolo perché lì c’è un forte contrasto tra due anime dell’islam e cioè le comunità sunnite e le comunità sciite. Noi sappiamo che il Libano è un Paese multiconfessionale: ci sono i cristiani, soprattutto maroniti, poi ci sono altre comunità più eterodosse come i drusi, poi c’è la maggioranza musulmana che è divisa, in modo crescente, tra sunniti e sciiti. In Libano, quello che si rischia di avere è una tracimazione della guerra civile siriana su questo fragile Paese, con una serie di scontri molto forti tra sciiti e sunniti, e all’interno dei sunniti anche tra gruppi sunniti più moderati e gruppi più radicali.

D. – Ma c’è il rischio che questa tensione si propaghi anche ad altre città libanesi?

R. – Ahimé, sì. Il Libano è un’entità fragile che vive sempre sul filo. Uno sbilanciamento di una parte rischia di provocare il crollo di tutto l’assetto politico, anche perché le tensioni interne al Libano sono molto forti. Il Libano è stato controllato per anni dalla Siria; ora i siriani si sono ritirati, ma sono sempre presenti le loro forze di sicurezza. C’è il problema di Hezbollah, alleato di Damasco e di Teheran, ci sono i Paesi arabi, soprattutto quelli arabi del Golfo, che stanno finanziando ed armando i movimenti sunniti più radicali, i movimenti salafiti e con una politica probabilmente un po’ miope. Poi c’è l’Occidente che, come al solito, non sa bene cosa fare o che tende sempre a distinguere tra buoni e cattivi quando la realtà sul terreno è molto più complicata … C’è davvero il rischio e qualcuno, forse, sta spingendo anche perché il Libano "salti di nuovo in aria".

D. – Chi, secondo lei?

R. – Mah, sono in molti … Allora, i Paesi arabi sunniti del Golfo – Qatar e Arabia Saudita in testa – hanno ormai lanciato una guerra non dichiarata all’Iran e agli sciiti nel mondo arabo. Dall’altra parte, sia Teheran sia Damasco, prima di crollare, cercheranno di allargare la dimensione del conflitto, e in particolare Assad cercherà di rendere il più sanguinoso possibile la caduta del proprio regime, creando altri fronti di instabilità.

D. – Venendo alla Siria: ora c’è questa posizione della Francia che chiede l’apertura di una parziale no-fly zone nel Paese…

R. – Io credo che la comunità internazionale abbia "giocato" molto male in Siria: prima, facendo finta di niente, poi dicendo: “Assad deve andarsene, deve crollare”. Facendo così ha anche insistito per chiedere la no-fly zone e lo ha fatto in un modo che ha ricordato quanto accaduto in Libia. In Libia, Francia e Gran Bretagna hanno voluto a tutti i costi la no-fly zone e poi di fatto hanno dato il via ad una guerra aerea contro Gheddafi. Quello che si può fare ora è smetterla di vedere in modo così semplicistico la situazione e, premesso il fatto che Assad è indifendibile e se ne deve andare perché ha creato un regime corrotto e crudele, la soluzione al dopo-Assad non può passare solo nelle mani degli oppositori che in questo momento gli fanno la guerra. Deve invece coinvolgere tutte le comunità siriane: compresi gli alawiti e compresi i cristiani. Altrimenti, il rischio di frammentazione sarà molto forte.










All the contents on this site are copyrighted ©.