Staminali. Il caso di Celeste: no a facili entusiasmi, ma la ricerca deve andare avanti
Si riaprono le porte della terapia con cellule staminali adulte, per la piccola Celeste.
Lo ha stabilito il Tribunale di Venezia. La bimba di due anni è malata di atrofia
muscolare spinale, ma era senza cure da maggio, dopo lo stop imposto dall’Agenzia
del Farmaco per mancata idoneità alla Onlus che somministrava la terapia alla bambina.
Secondo i familiari i miglioramenti sarebbero evidenti: ma è realistico? E questa
terapia può essere una speranza per i malati? Gabriella Ceraso lo ha chiesto
al prof. Alessandro Vercelli, medico specialista in neurobiologia e docente
all’Univeristà di Torino:
R. - Si tratta
di cellule staminali prelevate dal midollo osseo, una procedura piuttosto sperimentata.
Negli ultimi 10 anni, si è pensato di utilizzarla anche per malattie neurodegenerative.
Una provata efficacia si ha appunto nel trattamento della sclerosi multipla, e per
quanto riguarda altre patologie del sistema nervoso per ora ci sono pochi casi a livello
sperimentale, che hanno dimostrato la non tossicità di questa terapia. Sicuramente,
sono delle ricerche che devono andare avanti.
D. - Il caso della piccola Celeste,
può essere indicativo di un successo delle cellule staminali, dato che i genitori,
ma anche i legali, parlano di miglioramenti?
R. - Queste sono delle valutazioni
soggettive, di tutto rispetto, da parte della famiglia. Per quanto ne so, c’è stata
una commissione dell’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare (Uildm) che ha
anche esaminato il caso e si era espressa in modo piuttosto dubbioso.
D. -
In ogni caso si tratterebbe, in base alla sperimentazione, di trattamenti che migliorano
le prospettive di vita, ma di certo non curano…
R. - La speranza è quella di
farla migliorare. Sicuramente, lungo un arco di tempo medio o breve, non si può pensare
che sia un trattamento curativo. Bisogna essere non troppo entusiasti, altrimenti
si creano poi delle false illusioni. Diciamo che sono necessari ulteriori studi.
D.
- Però è importante parlarne…
R. - Certamente, per fare emergere un problema,
per fare conoscere la malattia e comunque per stimolare la ricerca.
D. - Qual
è l’importanza di avere un laboratorio adatto per questo tipo di cure e procedimenti?
R.
- Ci sono dei criteri di sicurezza che vanno assolutamente rispettati, altrimenti
si rischia: da una parte di iniettare delle cellule che non si conoscono bene e non
si sa poi bene quanto il trattamento può essere ripetibile, perché le cellule si possono
modificare. Dall’altra, il problema potrebbe essere quello delle condizioni di sicurezza,
per esempio la sterilità (degli ambienti - ndr).
D. - La stupisce il fatto
che un laboratorio possa essere bloccato per le motivazioni che sono state addotte,
tra cui l’inadeguatezza…
R. - Questo non mi stupisce assolutamente. In genere,
prima di fare questi trattamenti uno dovrebbe chiedere tutte le autorizzazioni da
parte dell’Aifa (l'Agenzia italiana del farmaco) e dell’Istituto superiore di sanità.
D.
- C’è, secondo lei, un rischio di speculazione intorno alle famiglie che hanno casi
disperati?
R. - Sicuramente. Io sono in contatto da anni con diverse associazioni
di pazienti: quelli con lesioni del midollo spinale, oppure affetti da Sla (Sclerosi
laterale amiotrofica) che devono combattere continuamente contro queste richieste
di “viaggi della speranza” in Paesi come la Cina, la Turchia o anche in alcuni Paesi
dell’Est, dove queste terapie vengono praticate a costi a volte anche molto alti -
decine se non centinaia di migliaia di euro - con una assoluta mancanza di rispetto
delle norme e soprattutto mancanza di una casistica. Per cui, io capisco che le famiglie
con un bambino molto grave siano pronte a tutte, però io penso che bisogna rivolgersi
ai centri specializzati che si occupano solo di quella patologia e possibilmente a
quei centri pubblici che non abbiano interessi economici.