Siria: 18 morti in in diverse città. L'opera umanitaria di Medici senza frontiere
In Siria, si registra l’ennesima giornata di violenti combattimenti tra l’esercito
e le milizie dell’opposizione. Secondo i ribelli sono almeno 18 le persone uccise
in nelle ultime ore in raid casa per casa e in bombardamenti di artiglieria a Damasco
e in altre località del Paese. Amnesty International parla di “livello di violenza
orribile” sopportato dai civili nella battagli aper il controllo di Aleppo. E mentre
sia ribelli sia governativi rivendicano successi nelle loro iniziative militari, il
premier britannico, David Cameron, e il presidente Usa, Barack Obama, hanno rinnovato
il monito a Damasco sulle armi chimiche, avvertendo che in caso di un loro impiego
la linea di non intervento diretto nel conflitto potrebbe essere ''rivista''. Intanto,
sul fronte umanitario, da diversi mesi opera in Siria l'ong Medici senza frontiere
(Msf). Nel nord, in una zona controllata dai ribelli, ma tenuta segreta per motivi
di sicurezza, ha installato senza l’autorizzazione governativa, un ospedale per gli
interventi d’urgenza. Vi accedono in centinaia, ma non basta, dicono. Gabriella
Ceraso ha raccolto la testimonianza di Dounia Dekhili medico, viceresponsabile
delle operazioni d’urgenza di Msf, appena tornata dalla Siria:
R. - C’est un
hôpital qui est installé depuis deux mois sur le territoire syrien ... Si tratta
di un ospedale che è stato installato sul territorio siriano da circa due mesi. Si
trova in una casa disabitata di due piani. Abbiamo potuto organizzare una sorta di
pronto soccorso attrezzato di una sala per la terapia intensivaper i pazienti
che arrivano in condizioni veramente gravi. Nella parte operativa abbiamo una zona
per la degenza ospedaliera e una sala di rianimazione. Possiamo ospitare da un minimo
di 12 a un massimo di 30 letti. L’equipe è composta da sette medici internazionali
e da una cinquantina di siriani. Dall’inizio dell’attività, abbiamo accolto più di
300 pazienti che richiedevano cure urgenti ed effettuato 150 operazioni chirurgiche.
D.
– Da dove provengono i feriti?
R. - Ils arrivent d’un peux par tout : aussi
bien de Hama que de Alep, … Provengono un po’ da tutte le parti, da Hama, da Aleppo...
A volte, i pazienti impiegano circa due giorni per arrivare alla nostra struttura.
Le lascio immaginare in che condizioni arrivano. Il tragitto è spesso difficile, perché
non possono passare per le vie principal: spesso devono evitare le linee di frontiera,
o transitare per luoghi dove ci sono conflitti tra i ribelli e i militari siriani.
Purtroppo alcuni arrivano troppo tardi...
D. – Sono soldati, ribelli, civili…
Quante donne e bambini arrivano da voi?
R. - Il y a de tout qui arrive : sur
les 300 patients qui sont arrivés, 20% sont … Arrivano pazienti di ogni tipo. Dei
300 pazienti che abbiamo qui, il 20% ha meno di venti anni e il dieci per cento hanno
meno di dieci anni. Le donne sono tra il 5 e il 10%. Il 90% dei pazienti che seguiamo
sono persone vittime della violenza della guerra, ferite da colpi di arma da fuoco
o esplosioni provenienti dei carri armati e dai bombardamenti.
D. – Si parla
sempre degli insorti. Ma secondo lei, sono dei giovani siriani o degli stranieri?
R.
- Pour nous, c’est assez compliqué parce-que en fin, en ne demande pas … Per noi,
è difficile identificarli perché quando le persone arrivano qui non chiediamo se siano
dei combattenti o meno. La cosa che più ci preoccupa è il fatto che hanno bisogno
di cure. Abbiamo anche dei bambini feriti e questo a dimostrazione del fatto che la
guerra non risparmia la popolazione civile.
D. – Voi avete la possibilità di
sapere se le armi utilizzate sono armi chimiche?
R. - Pour l’instant, on n’a
pas – à notre niveau, à niveau de notre structure - … Per quanto riguarda la nostra
struttura, finora non abbiamo avuto tracce dell’utilizzo di armi chimiche.
D.
– Il governo non ha autorizzato il vostro ospedale. Voi avete contatti con il regime?
R.
- Nous avons faites des demandes répètes d’autorisation à travailler … Abbiamo
più volte presentato domanda per avere le autorizzazioni necessarie per poter fare
il nostro lavoro. Fino ad ora sono rifiutate.
D. – Secondo voi, il regime siriano
perseguita i feriti che provengono dal vostro ospedale o da altre strutture simili?
R.
– C’était sur cette problématique que nous avions étés interpellés … Dall’inizio
dei disordini in Siria, spesso ci è stato chiesto questo. Ci si è resi conto attraverso
le testimonianze di un gruppo dimedici siriani che lavoravano all’interno
– e dai pazienti che andavano a rifugiarsi in Giordania e che arrivavano alla nostra
struttura, perché abbiamo un ospedale chirurgico in Giordania che esiste dal 2006
– del problema della mancanza di accesso alle cure per i feriti. Questo non perché
le strutture non esistano – e il sistema medico siriano è molto efficiente, lo si
sa da sempre – ma perché c’è veramente una difficoltà all’accesso alle cure per i
feriti.
D. - Molte ong hanno affermato che la situazione in Siria è disastrosa.
Quale la cosa più urgente da fare secondo voi?
R. – Déjà je tiens a préciser
que nous nous avons préinstallée cette structure … Prima di tutto, ci tengo a precisare
che noi abbiamo potuto installare questa struttura che deve restare piccola per ragioni
di sicurezza e perché siamo in una piccola porzione di territorio dove è stato possibile
per noi sistemarci. Questo non ci dà che una visione parziale di tutto quello che
può succedere sull'intero territorio. Sappiamo bene che i 300 pazienti che abbiamo
potuto curare sono già un grande passo per noi, ma sappiamo altrettanto bene che è
poco rispetto ai bisogni reali. Bisogna reiterare l’appello alle parti in conflitto
affinché autorizzino, e questo è essenziale, l’accesso agli organismi umanitari in
un contesto di un conflitto come questo.
D. – Durante questi due mesi di lavoro,
la situazione è peggiorata nel nord della Siria?
R. – Je pense qu’elle c’est
dégradée dans deux endroits seulement ; … Penso che sia peggiorato soltanto in
alcuni luoghi… Oggi, l’attenzione è soprattutto sul nord perché c’è la battaglia di
Aleppo, e i giornalisti, più o meno, riescono ad avere accesso in quelle zone; si
hanno invece poche informazioni concrete su quello che accade da altre parti, come
nella parte dell’estremo est, a Damasco, a Homs. Immaginiamo che la situazione sia
brutta ovunque.
D. – C’è un clima di paura?
R. – Oui : ça parce-que
c’est une chose largement évoqué par les témoignages des … Sì, questo sentimento
ricorre spesso nelle testimonianze dei rifugiati che arrivano sempre più numerosi
soprattutto dai Paesi limitrofi.Abbiamo incontrato molti giovani rifugiati
in Giordania, e sempre più spesso le famiglie intere sono state costrette a spostarsi
più volte, partendo per esempio da Homs o Damasco, e che ora si trovano nella condizione
di dover lasciare Damasco o addirittura il Paese. Questo è un chiaro segno del degrado
umanitario e di sicurezza per la popolazione civile.