2012-08-20 15:34:08

Immigrazione: la morte della giovane atleta Samia emblematica per il popolo somalo


Sono iniziati oggi a Lampedusa i primi trasferimenti dei circa 400 migranti approdati nel week end e provenienti per lo più dall’area subsahariana. Si proseguirà fino al completo svuotamento del centro di prima accoglienza dell’isola, anche perché le buone previsioni del tempo in settimana potrebbero favorire ulteriori approdi. In tragedia e nell’indifferenza generale è invece terminato il viaggio Samia Yusuf Omar, somala, 21 anni, naufragata nel Mediterraneo, nessuno sa quando, mentre su un barcone proveniente dalla Libia cercava la salvezza. Samia era stata portabandiera olimpica a Pechino: arrivata ultima nei 200 era comunque felice. La sua storia è stata raccolta dalla scrittrice somala Igiaba Scego, che Gabriella Ceraso ha intervistato:RealAudioMP3

R. – Io penso che per una somala, rappresentare il proprio Paese, la propria bandiera può essere una grande gioia, perché comunque la Somalia vive da 21 una guerra civile tremenda che ha azzerato tutto: ha azzerato la scuola, le istituzioni e anche lo sport. Quindi, in qualche modo, era un momento di speranza, sia per lei sia per il Paese.

D. – Lei è stata emblematica: può simboleggiare un po’ la sorte di una parte del Paese somalo?

R. – La vicenda di Samia è emblematica perché purtroppo i giovani somali rimasti in madrepatria, per 21 anni non hanno potuto fare niente. Ci sono persone che sono nate durante la guerra e questo significa che non puoi studiare, non puoi pensare al futuro, non puoi pensare al lavoro… A 20 anni, che fai? A 20 anni sogni di conquistare il mondo. E Samia sognava di continuare a correre, magari di allenarsi perché la struttura fisica ce l’aveva: aveva bisogno soltanto di gente che potesse credere di più in lei…

D. – Questo significa anche che lo sport da solo non salva in un Paese in guerra…

R. – Soprattutto non salva se sei donna, perché in quel momento storico, nel 2008, in Somalia c’erano – come ci sono ancora oggi – gruppi fondamentalisti islamici, e in quel periodo erano al potere in misura massiccia. Quindi, non era nemmeno vista di buon occhio una donna che facesse sport. Infatti, le dicevano: “Tu non ti sposerai mai”, o comunque veniva ostacolata dalle persone che aveva intorno.

D. – Che cosa ti ha insegnato la storia di Samia?

R. – Samia ha avuto molto coraggio in tutte le scelte che ha fatto nella sua breve vita. Quindi, forse l’insegnamento che ci ha lasciato è proprio quello di avere coraggio, di non arrendersi, semplicemente.

D. – Qual è il tuo desiderio ora, oltre ad aver raccontato questa storia?

R. – Io vorrei sapere che fine ha fatto effettivamente questa ragazza. A volte, forse erroneamente, noi parliamo di morte quando invece, di fatto, c’è una situazione di scomparsa. E’ un grosso nodo, di cui non parliamo…

D. – La Somalia è alla vigilia di un voto importante: sta per scegliere il proprio presidente. Cosa chiedere alla nuova classe politica, anche alla luce di esperienze come quella di Samia?

R. – Queste elezioni possono essere veramente una grande chance per la Somalia: io noto un entusiasmo che veramente non vedevo da anni. Noi vorremmo chiedere la pace, però come si fa a chiedere la pace? Sicuramente serve un controllo sulle armi, serve la lotta alla corruzione, un ruolo più attivo per le donne e investire sulla cultura dei somali. Perché solo attraverso la cultura, ma quella vera, noi potremo uscire da questa barbarie. E poi, costruire un’identità di popolo…







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