2012-08-16 20:00:36

Siria. Drammatico appello dell'arcivescovo di Aleppo: fermate i belligeranti!



Siria sempre più isolata: l’Oci (Organizzazione della cooperazione islamica) sospende Damasco, mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu annuncia il ritiro degli osservatori. Intanto, continuano i bombardamenti su Azaz e nella capitale sono stati rinvenuti decine di cadaveri, probabilmente civili vittime di un’esecuzione sommaria. Francesca Sabatinelli: RealAudioMP3

La Siria è fuori dall’Organizzazione della cooperazione islamica, che ne ha deciso la sospensione quale conseguenza della violenta repressione in atto nel paese. Al fianco di Damasco resta l’Iran, che definisce un’ingiustizia la decisione dell’organizzazione islamica. Il presidente Bashar al-Assad è sempre più isolato, fuori e dentro i confini, colpito anche negli affetti se è vero, come dichiarano fonti diplomatiche occidentali, che il fratello Maher sarebbe in fin di vita dopo essere rimasto ferito un mese fa in un attentato a Damasco. Da Cina e Russia continuano ad arrivare gli appelli per il cessate il fuoco e per una mediazione, Mosca soprattutto chiede che le Nazioni Unite restino nel Paese, ma l’Onu ha già annunciato che la missione dei 300 osservatori non verrà rinnovata per mancanza di condizioni. A New York domani si riuniranno, a livello di ambasciatori, i paesi del Gruppo d’Azione sulla Siria, come ha annunciato il delegato russo al Palazzo di Vetro. L’azione di Mosca mira soprattutto a lanciare un appello a governo siriano e opposizione affinché mettano fine alle violenze. Valerie Amos, vice segretario generale Onu per gli affari umanitari, da Damasco ha denunciato che l’emergenza umanitaria nel paese coinvolge 2milioni e mezzo di persone. Intanto centinaia di civili stanno attraversando il confine con la Turchia, in fuga dai bombardamenti contro Aleppo, Idlib e principalmente Aazaz, bastione dei ribelli nel nord del Paese, che ieri ha visto una cinquantina di morti, soprattutto donne e bambini. Oggi oltre 150 le vittime in tutto il paese, secondo i comitati di coordinamento locale anti-regime, che denunciano una nuova strage ad opera del regime in un sobborgo di Damasco, dove gli attivisti in una discarica avrebbero rinvenuto 60 cadaveri con le mani legate.

Dalla Siria ci giunge anche il drammatico appello dell’arcivescovo cattolico dei greco-melkiti, Jean-Clément Jeanbart. L'ha raccolto Tracey McLure: RealAudioMP3

R. – Chiedo alla comunità internazionale, chiedo ai cristiani d’Europa, d’America e di tutto il mondo, chiedo ai governi di avere pietà di questo popolo siriano e di fare tutto il possibile per spingere tutti quanti a sedersi attorno ad un tavolo per dialogare, trovare una riconciliazione e risolvere questo problema in modo civile, umano. La guerra non fa che distruggere, non fa che uccidere: è una guerra fratricida. Smettiamola di sostenere i belligeranti: chiedo questo all’Occidente ed anche alla Russia, alla Cina, all’Iran, a tutti, perché spingano le due parti ad accettare il dialogo, a trovare un compromesso, un modo per risolvere questo problema che sia soddisfacente per tutti. Prego e supplico tutti di fare il possibile per salvaguardare migliaia e migliaia di persone che muoiono per niente, perché così non si risolverà il problema. La guerra non risolve il problema, la guerra non può che portare la morte e la desolazione.
Per un commento sugli sviluppi della crisi siriana, Giancarlo La Vella ha intervistato il prof. Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università Cattolica di Milano: RealAudioMP3

R. – Sono cose ampiamente note per chi ha voluto guardare la situazione siriana in modo meno semplicistico. In realtà noi abbiamo sempre bisogno di raccontare le vicende in cui vi sia un cattivo - e Assad non ci sono dubbi che lo sia - e i buoni, che erano i rivoltosi, spesso propagandati come gruppi liberali a favore della democrazia. Ma all’interno dell’opposizione c’è un po’ di tutto e, ovviamente, chi si sta rafforzando in questo clima di guerra civile sono le frange più estreme, cioè i salafiti, che sono estremamente settari e dogmatici, e i gruppi jihadisti vicini ad Al Qaeda, che spesso utilizzano gli stessi metodi operativi.

D. - La possibilità, dichiarata dai ribelli di Aleppo, che si possano fare accordi con al Qaeda provoca ancora più preoccupazione sugli esiti di questa guerra civile…

R. – Dà più preoccupazione, ma di fatto si sta dicendo una cosa che già è avvenuta. Al Qaeda è più che altro ormai una sigla, ma da mesi i servizi iracheni segnalavano come i combattenti jihadisti vicini alla rete e al terrorismo sunnita estremista, che per anni hanno operato in Iraq, si fossero spostati oltre frontiera per combattere Assad. Non è un mistero che Arabia Saudita e Qatar sostengano i gruppi salafiti. I gruppi salafiti sono quegli estremisti sunniti che hanno una contiguità, una posizione di ambiguità nei confronti del jihadismo globale. Che poi ci sia l’etichetta Al Qaeda o di qualcosa d’altro, non cambia un discorso comunque estremamente violento, come si vede a Damasco con gli attentati con le autobombe o i kamikaze. Questo è il tipico modus operandi del jihadismo globale.

D. – E’ allora questo il momento da parte della comunità internazionale di operare con una missione un po’ più decisa rispetto al semplice invio di osservatori dell’Onu?

R. – Da un lato abbiamo un regime crudele, al di là di ogni misura come quello di Assad, che è indifendibile, dall’altra parte abbiamo sempre più un’opposizione che minaccia di prendere il potere e fare quello che sta facendo Assad in questi mesi, cioè una pulizia etnica, una serie di attacchi contro tutte le minoranze non sunnite nel Paese: cioè, gli alawiti ma anche le comunità cristiane che sono molto forti in Siria. Di fronte a questo scenario è evidente che continuare a leggere la realtà siriana in modo dicotomico, buoni e cattivi, non ci aiuta. E’ evidente che la comunità internazionale debba fare qualcosa. Non so se andare verso una “no fly zone” o una missione, tipo quella della Libia, che è rischiosissima e irriterebbe molto la Russia e la Cina, sia la soluzione giusta. Forse bisognerebbe cercare anche di coinvolgere gli attori regionali presenti, cercando una soluzione che non sia solo la caduta di Assad. Certo Assad se ne deve andare, ma, prima che se ne vada, occorre anche costruire un dopo, per non lasciare la Siria nelle mani dell’anarchia e di una guerra civile ipersettaria.











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