Siria. Drammatico appello dell'arcivescovo di Aleppo: fermate i belligeranti!
Siria sempre più isolata: l’Oci (Organizzazione della cooperazione islamica) sospende
Damasco, mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu annuncia il ritiro degli osservatori.
Intanto, continuano i bombardamenti su Azaz e nella capitale sono stati rinvenuti
decine di cadaveri, probabilmente civili vittime di un’esecuzione sommaria. Francesca
Sabatinelli:
La Siria è
fuori dall’Organizzazione della cooperazione islamica, che ne ha deciso la sospensione
quale conseguenza della violenta repressione in atto nel paese. Al fianco di Damasco
resta l’Iran, che definisce un’ingiustizia la decisione dell’organizzazione islamica.
Il presidente Bashar al-Assad è sempre più isolato, fuori e dentro i confini, colpito
anche negli affetti se è vero, come dichiarano fonti diplomatiche occidentali, che
il fratello Maher sarebbe in fin di vita dopo essere rimasto ferito un mese fa in
un attentato a Damasco. Da Cina e Russia continuano ad arrivare gli appelli per il
cessate il fuoco e per una mediazione, Mosca soprattutto chiede che le Nazioni Unite
restino nel Paese, ma l’Onu ha già annunciato che la missione dei 300 osservatori
non verrà rinnovata per mancanza di condizioni. A New York domani si riuniranno, a
livello di ambasciatori, i paesi del Gruppo d’Azione sulla Siria, come ha annunciato
il delegato russo al Palazzo di Vetro. L’azione di Mosca mira soprattutto a lanciare
un appello a governo siriano e opposizione affinché mettano fine alle violenze. Valerie
Amos, vice segretario generale Onu per gli affari umanitari, da Damasco ha denunciato
che l’emergenza umanitaria nel paese coinvolge 2milioni e mezzo di persone. Intanto
centinaia di civili stanno attraversando il confine con la Turchia, in fuga dai bombardamenti
contro Aleppo, Idlib e principalmente Aazaz, bastione dei ribelli nel nord del Paese,
che ieri ha visto una cinquantina di morti, soprattutto donne e bambini. Oggi oltre
150 le vittime in tutto il paese, secondo i comitati di coordinamento locale anti-regime,
che denunciano una nuova strage ad opera del regime in un sobborgo di Damasco, dove
gli attivisti in una discarica avrebbero rinvenuto 60 cadaveri con le mani legate.
Dalla Siria ci giunge anche il drammatico appello dell’arcivescovo cattolico
dei greco-melkiti, Jean-Clément Jeanbart. L'ha raccolto TraceyMcLure:
R. – Chiedo
alla comunità internazionale, chiedo ai cristiani d’Europa, d’America e di tutto il
mondo, chiedo ai governi di avere pietà di questo popolo siriano e di fare tutto il
possibile per spingere tutti quanti a sedersi attorno ad un tavolo per dialogare,
trovare una riconciliazione e risolvere questo problema in modo civile, umano. La
guerra non fa che distruggere, non fa che uccidere: è una guerra fratricida. Smettiamola
di sostenere i belligeranti: chiedo questo all’Occidente ed anche alla Russia, alla
Cina, all’Iran, a tutti, perché spingano le due parti ad accettare il dialogo, a trovare
un compromesso, un modo per risolvere questo problema che sia soddisfacente per tutti.
Prego e supplico tutti di fare il possibile per salvaguardare migliaia e migliaia
di persone che muoiono per niente, perché così non si risolverà il problema. La guerra
non risolve il problema, la guerra non può che portare la morte e la desolazione. Per
un commento sugli sviluppi della crisi siriana, GiancarloLaVella
ha intervistato il prof. RiccardoRedaelli, docente di Geopolitica all’Università
Cattolica di Milano:
R. – Sono
cose ampiamente note per chi ha voluto guardare la situazione siriana in modo meno
semplicistico. In realtà noi abbiamo sempre bisogno di raccontare le vicende in cui
vi sia un cattivo - e Assad non ci sono dubbi che lo sia - e i buoni, che erano i
rivoltosi, spesso propagandati come gruppi liberali a favore della democrazia. Ma
all’interno dell’opposizione c’è un po’ di tutto e, ovviamente, chi si sta rafforzando
in questo clima di guerra civile sono le frange più estreme, cioè i salafiti, che
sono estremamente settari e dogmatici, e i gruppi jihadisti vicini ad Al Qaeda, che
spesso utilizzano gli stessi metodi operativi.
D. - La possibilità, dichiarata
dai ribelli di Aleppo, che si possano fare accordi con al Qaeda provoca ancora più
preoccupazione sugli esiti di questa guerra civile…
R. – Dà più preoccupazione,
ma di fatto si sta dicendo una cosa che già è avvenuta. Al Qaeda è più che altro ormai
una sigla, ma da mesi i servizi iracheni segnalavano come i combattenti jihadisti
vicini alla rete e al terrorismo sunnita estremista, che per anni hanno operato in
Iraq, si fossero spostati oltre frontiera per combattere Assad. Non è un mistero che
Arabia Saudita e Qatar sostengano i gruppi salafiti. I gruppi salafiti sono quegli
estremisti sunniti che hanno una contiguità, una posizione di ambiguità nei confronti
del jihadismo globale. Che poi ci sia l’etichetta Al Qaeda o di qualcosa d’altro,
non cambia un discorso comunque estremamente violento, come si vede a Damasco con
gli attentati con le autobombe o i kamikaze. Questo è il tipico modus operandi del
jihadismo globale.
D. – E’ allora questo il momento da parte della comunità
internazionale di operare con una missione un po’ più decisa rispetto al semplice
invio di osservatori dell’Onu?
R. – Da un lato abbiamo un regime crudele, al
di là di ogni misura come quello di Assad, che è indifendibile, dall’altra parte abbiamo
sempre più un’opposizione che minaccia di prendere il potere e fare quello che sta
facendo Assad in questi mesi, cioè una pulizia etnica, una serie di attacchi contro
tutte le minoranze non sunnite nel Paese: cioè, gli alawiti ma anche le comunità cristiane
che sono molto forti in Siria. Di fronte a questo scenario è evidente che continuare
a leggere la realtà siriana in modo dicotomico, buoni e cattivi, non ci aiuta. E’
evidente che la comunità internazionale debba fare qualcosa. Non so se andare verso
una “no fly zone” o una missione, tipo quella della Libia, che è rischiosissima e
irriterebbe molto la Russia e la Cina, sia la soluzione giusta. Forse bisognerebbe
cercare anche di coinvolgere gli attori regionali presenti, cercando una soluzione
che non sia solo la caduta di Assad. Certo Assad se ne deve andare, ma, prima che
se ne vada, occorre anche costruire un dopo, per non lasciare la Siria nelle mani
dell’anarchia e di una guerra civile ipersettaria.