Onu: esercito e ribelli siriani colpevoli di crimini di guerra, possibile coinvolgimento
di Al Qaeda
In attesa del rinnovo, in giornata, della missione degli osservatori Onu in Siria,
ieri un rapporto delle Nazioni Unite ha lanciato precise accuse contro l’esercito
del presidente Assad e le milizie dell’opposizione, responsabili in varia misura -
dice il documento - di crimini di guerra e contro l’umanità. A preoccupare c’è anche
il rischio di accordi dei ribelli con Al Qaeda, come annunciato dal leader degli insorti
ad Aleppo. Il servizio di Giancarlo La Vella:
Molto più che
un sospetto, questa volta a paventare che Al Qaeda possa scendere in campo nella sanguinosa
guerra civile siriana è stato in prima persona il comandante delle milizie ribelli
ad Aleppo, Abu Ammar. Se l'Occidente continua a rifiutarsi di inviarci armi per combattere
le forze del presidente Assad, potremmo ricorrere all'aiuto di Al Qaeda. Una minaccia
che per ora non ha nulla di reale, ma che potrebbe concretizzarsi se la battaglia
ad Aleppo non dovesse avere esiti favorevoli ai ribelli. Dalla sua, il regime di Assad
cerca di limitare il suo isolamento, messo ancor più in luce dalla sospensione della
Siria dalla Conferenza dei Paesi islamici e dal documento Onu. Bouthaina Shaaban,
inviato a Pechino di Damasco, in un’intervista ringrazia apertamente Cina e Russia,
che hanno - afferma - una visone reale del conflitto in Siria. Il diplomatico ha invitato
le due potenze a collaborare, insieme con l’Iran, per trovare una soluzione alla sanguinosa
crisi. Anche stamani già alcune decine di vittime.
Per un commento su questi
sviluppi della crisi siriana, Giancarlo La Vella ha intervistato Riccardo
Redaelli, docente di Geopolitica all’Università Cattolica di Milano:
R. – Sono cose
ampiamente note per chi ha voluto guardare la situazione siriana in modo meno semplicistico.
In realtà noi abbiamo sempre bisogno di raccontare le vicende in cui vi sia un cattivo
- e Assad non ci sono dubbi che lo sia - e i buoni, che erano i rivoltosi, spesso
propagandati come gruppi liberali a favore della democrazia. Ma all’interno dell’opposizione
c’è un po’ di tutto e, ovviamente, chi si sta rafforzando in questo clima di guerra
civile sono le frange più estreme, cioè i salafiti, che sono estremamente settari
e dogmatici, e i gruppi jihadisti vicini ad Al Qaeda, che spesso utilizzano gli stessi
metodi operativi.
D. - La possibilità, dichiarata dai ribelli di Aleppo, che
si possano fare accordi con al Qaeda provoca ancora più preoccupazione sugli esiti
di questa guerra civile…
R. – Dà più preoccupazione, ma di fatto si sta dicendo
una cosa che già è avvenuta. Al Qaeda è più che altro ormai una sigla, ma da mesi
i servizi iracheni segnalavano come i combattenti jihadisti vicini alla rete e al
terrorismo sunnita estremista, che per anni hanno operato in Iraq, si fossero spostati
oltre frontiera per combattere Assad. Non è un mistero che Arabia Saudita e Qatar
sostengano i gruppi salafiti. I gruppi salafiti sono quegli estremisti sunniti che
hanno una contiguità, una posizione di ambiguità nei confronti del jihadismo globale.
Che poi ci sia l’etichetta Al Qaeda o di qualcosa d’altro, non cambia un discorso
comunque estremamente violento, come si vede a Damasco con gli attentati con le autobombe
o i kamikaze. Questo è il tipico modus operandi del jihadismo globale.
D.
– E’ allora questo il momento da parte della comunità internazionale di operare con
una missione un po’ più decisa rispetto al semplice invio di osservatori dell’Onu?
R.
– Da un lato abbiamo un regime crudele, al di là di ogni misura come quello di Assad,
che è indifendibile, dall’altra parte abbiamo sempre più un’opposizione che minaccia
di prendere il potere e fare quello che sta facendo Assad in questi mesi, cioè una
pulizia etnica, una serie di attacchi contro tutte le minoranze non sunnite nel Paese:
cioè, gli alawiti ma anche le comunità cristiane che sono molto forti in Siria. Di
fronte a questo scenario è evidente che continuare a leggere la realtà siriana in
modo dicotomico, buoni e cattivi, non ci aiuta. E’ evidente che la comunità internazionale
debba fare qualcosa. Non so se andare verso una “no fly zone” o una missione, tipo
quella della Libia, che è rischiosissima e irriterebbe molto la Russia e la Cina,
sia la soluzione giusta. Forse bisognerebbe cercare anche di coinvolgere gli attori
regionali presenti, cercando una soluzione che non sia solo la caduta di Assad. Certo
Assad se ne deve andare, ma, prima che se ne vada, occorre anche costruire un dopo,
per non lasciare la Siria nelle mani dell’anarchia e di una guerra civile ipersettaria.