Siria, l'ex premier fuggito in Giordania: il regime di Assad è quasi alla fine
In Siria sotto assedio Aleppo Damasco ed Homs: anche ieri si sono registrate decine
di vittime. Sul fronte diplomatico, si fa avanti la Cina disposta ad una mediazione
tra il governo e i ribelli, mentre la Russia ribadisce la disponibilità del presidente
Assad ad uscire di scena per risolvere la crisi. Dalla Giordania, la prima apparizione
pubblica dopo la fuga dell’ex premier del regime Hijab che ribadisce: Assad è al
collasso, ormai controlla meno di un terzo del territorio. CeciliaSeppia
Continua la
pioggia di bombe su Aleppo e Damasco, mentre i ribelli tentano una disperata resistenza
ad Homs, bersagliata senza tregua dall’esercito. Incerto il bilancio dei morti di
ieri che secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani è salito ad oltre 23 mila
dall’inizio della rivolta contro Assad, ormai 17 mesi fa. Nella capitale è arrivata
Valerie Amos, rappresentante Onu per gli Affari umanitari, che dovrà fare il punto
sugli aiuti ai profughi, più di un milione e mezzo all’interno della Siria, oltre
150 mila nei Paesi vicini. Sul fronte diplomatico prende piede la mediazione della
Cina. Oggi colloqui a Pechino tra l'inviato speciale del presidente siriano Shaaban,
e il ministro degli Esteri cinese Yang Jiechi disposto ad incontrare anche i membri
dell’opposizione. Da Amman, in Giordania tuona invece l’ex premier di Assad, Riad
Hijab, fuggito all’inizio di agosto, che denuncia “crimini contro la popolazione”.
Il regime è crollato dal punto di vista militare, economico e morale dice - mentre
invita tutti alla rivoluzione, perché, afferma, non c’è più spazio per una soluzione
politica. Un altro duro colpo per Damasco è arrivato con la sospensione della Siria,
dall'Organizzazione della Cooperazione Islamica, nonostante il voto contrario dell’Iran.
Quali
conseguenze dell’espulsione, che sarà ratificata domani, della Siria dall’Oci, Organizzazione
della Conferenza Islamica? BenedettaCapelli lo ha chiesto a StefanoTorelli, membro del Cisip, Centro Italiano di Studi dell’Islam politico: R. – Diciamo che
le conseguenze di questa decisione adottata sono in realtà più simboliche che altro.
Si tratta di un’organizzazione abbastanza importante, dal punto di vista politico
Fra l’altro anche in seno a queste organizzazione è maturata l’ennesima spaccatura
tra il blocco arabo-sunnita e l’Iran. Peraltro, bisogna ricordare che il presidente
dell’organizzazione è un turco e anche questo ha un suo peso. Le conseguenze sono
più simboliche che effettive, perché stanno a dimostrare ancora una volta l’isolamento
in cui il regime di Damasco si trova, anche all’interno dello stesso blocco dei Paesi
islamici, dei Paesi musulmani.
D. – Quella proposta che era stata fatta del
mediatore dell'Onu e dell'Unione Africana, Kofi Annan, di inglobare l’Iran in una
trattativa per favorire l’uscita di scena di Assad, può ancora essere una prospettiva
valida?
R. – Più che una prospettiva valida realisticamente potrebbe essere
l’unica vera prospettiva percorribile. L’Iran è un attore fondamentale da coinvolgere
in qualsiasi negoziato che riguardi i conflitti in Medio Oriente. E Kofi Annan è stato
realista e anche lungimirante. D’altro canto, però, vi sono equilibri politici difficili
da scardinare e quindi, oggi come oggi, soprattutto per il veto di Paesi come gli
Stati Uniti e di altri. E’ chiaro che ormai si è arrivati ad un punto in cui Stati
Uniti, Occidente e in parte anche Turchia, che invece prima si poneva sempre come
un interlocutore tra l’Occidente e l’Iran, abbiano maturato la decisione. La sensazione
è che la crisi siriana non debba più passare neanche per Teheran, ma debba essere
risolta in altro modo. Quale altro modo non è stato messo bene in chiaro.
D.
– Tra poco scade il mandato degli osservatori Onu in Siria. Che bilancio si può fare
di questa missione?
R. – Non è un successo. E’ stata una missione che è stata
messa in campo soprattutto per cercare, anche tramite l’azione diplomatica, come assicurava
Kofi Annan, di trovare delle soluzioni condivise, ma le caratteristiche stesse di
questa missione hanno subito messo in evidenza, a mio avviso, la debolezza della missione
stessa. La Siria è ormai – nessuno lo nasconde più – un vero e proprio teatro di guerra
civile e la missione attuale dell’Onu prevede l’invio di 300 soldati, non armati,
a titolo di osservatori, per monitorare la situazione. Mi sembra che l’azione dell’Onu
sia stata più simbolica che efficace, dal punto di vista reale.