Vaticano, fuga di documenti riservati: due persone rinviate a giudizio
Pubblicate requisitoria e sentenza relative alla fuga di documenti riservati vaticani.
Il giudice istruttore Piero Antonio Bonnet, accogliendo le richieste del promotore
di giustizia Nicola Picardi, ha rinviato a giudizio due persone: Paolo Gabriele, aiutante
di camera di Benedetto XVI, accusato di furto aggravato, e Claudio Sciarpelletti,
dipendente della Segreteria di Stato, accusato di favoreggiamento. Il servizio di
Sergio Centofanti.
Sono dunque
due le persone rinviate a giudizio per la fuga di documenti riservati vaticani. Oltre
a Paolo Gabriele, tuttora agli arresti domiciliari, c’è anche Claudio Sciarpelletti,
48 anni, tecnico informatico, dipendente della Segreteria di Stato, arrestato il 25
maggio e poi posto in libertà provvisoria il giorno dopo previa cauzione e con l’obbligo
di osservare alcune prescrizioni. Sciarpelletti ha avuto numerosi contatti con Gabriele
e in un cassetto della sua scrivania è stata rinvenuta una busta con materiale pubblicato
dal giornalista Gianluigi Nuzzi. Il suo ruolo appare tuttavia marginale e sarà processato
per favoreggiamento.
Paolo Gabriele - dopo aver negato tutto durante un incontro
della Famiglia pontificia, rispondendo in particolare ad una domanda specifica del
segretario del Papa, mons. Georg Gänswein - ha confessato, durante i successivi interrogatori,
di aver fornito il materiale a Nuzzi, ma senza ricevere denaro o altri benefici.
Ha motivato la sua azione, che sapeva bene essere illecita, col fatto di ritenere
il Pontefice non correttamente informato di fronte al male e alla corruzione che lui
vedeva nella Chiesa: ero sicuro – ha affermato - che “uno shock, anche mediatico,
avrebbe potuto essere salutare per riportare la Chiesa nel giusto binario”. In particolare
si è definito un “infiltrato” dello Spirito Santo.
Durante le perquisizioni
nella sua abitazione sono stati rinvenuti non solo documenti riservati in grande numero,
ma anche un assegno bancario di centomila euro intestato al Papa per le sue opere
di carità e proveniente dall’Università Cattolica San Antonio di Guadalupe, una pepita
presunta d’oro, sempre indirizzata al Papa, e una traduzione dell’Eneide a cura di
Annibal Caro stampata a Venezia nel 1581, anche questa un dono per il Papa.
Gabriele
è stato sottoposto a due perizie psichiatriche che hanno dato opposti risultati in
merito alla sua libertà di intendere e volere. La prima guidata dal prof. Roberto
Tatarelli dell’Università La Sapienza di Roma, che ritiene che i disturbi psichici
emersi dalle perizie non aboliscano la coscienza e la libertà dei propri atti da parte
dell’indagato, e la seconda dal prof. Tonino Cantelmi della Pontificia Università
Gregoriana che ritiene il contrario. Sia Picardi che Bonnet hanno ritenuto plausibile
la prima perizia.
In particolare il prof. Tatarelli afferma che il Gabriele
è “affetto da un’ideazione paranoide con sfondo di persecutorietà”: la sua personalità
– sottolinea - è fragile e insicura e “si caratterizza anche per un profondo bisogno
di ricevere attenzione e affetto da parte degli altri” e dunque può essere soggetta
a manipolazioni. Tuttavia – secondo il prof. Tatarelli – queste condizioni non configurano
“un disturbo di mente tale da abolire la coscienza e la libertà dei propri atti”.
Per il prof. Cantelmi la personalità di Gabriele è “affetta da un’identità incompleta
ed instabile, da suggestionabilità, da sentimenti di grandiosità, da alterata rigidità
morale con un personale ideale di giustizia, nonché da un pervasivo bisogno di essere
apprezzato e stimato”. Secondo il prof. Cantelmi “la deformazione dei processi ideativi
del Gabriele” porta ad una incapacità d’intendere e di volere. Ma questa perizia non
è stata condivisa dai giudici Bonnet e Picardi: di qui il rinvio a giudizio di Paolo
Gabriele.
Tra i vari testimoni è stato sentito dai giudici anche il padre spirituale
di Gabriele, che ha confermato - come detto dall'indagato - di aver ricevuto da lui
copie dei documenti riservati. Il sacerdote ha affermato di averli bruciati perché
sapeva che "erano il frutto di un'attività non legittima e non onesta" e temeva "che
se ne potesse fare uso altrettanto non legittimo e onesto".
Piero Bonnet, da
parte sua, ha sottolineato che "le indagini, che non hanno ancora portato piena luce
su tutte le articolate e intricate vicende che costituiscono l'oggetto complesso di
questa istruzione, si sono dispiegate in varie direzioni" e ha disposto quindi "la
parziale chiusura dell'istruttoria".