Terremoto in Iran, 250 morti. Si mobilita la rete Caritas
Come ricordato il Papa ha invocato solidarietà e sostegno per le popolazioni dell’Iran,
colpite ieri pomeriggio da due violente scosse di terremoto. I sismi, di magnitudo
6.3 e 6.4, hanno devastato il Nord-ovest del Paese, a 60 chilometri dalla città universitaria
di Tabriz. Circa 250 sono le persone rimaste uccise mentre circa 1500 sono i feriti,
in un’area che conta quasi 130mila abitanti. Sulla situazione degli aiuti in Iran,
che già nel 2003 era stato colpito da un terremoto che aveva ucciso 31mila persone,
Michele Raviart ha intervistato Paolo Beccegato, responsabile dell’Area
internazionale della Caritas italiana:
R. – Siamo entrati
in contatto da ieri con Caritas Iran, con cui collaboriamo da più di vent’anni soprattutto
in situazioni di questo tipo, purtroppo ricorrenti in quel Paese. Pare che la situazione
sia molto più grave di quello che si pensava all’inizio e quindi temiamo una conta
sia delle vittime, sia dei feriti, soprattutto i feriti gravi, molto più alta di quelle
che attualmente circolano.
R. - Chi sta operando adesso sul campo e di cosa
hanno bisogno i terremotati?
R. – Prevediamo uno spostamento di persone perché
molte case di questa zona del Nord-ovest non sono adatte anche per quanto riguarda
lo sciame sismico, quindi temiamo l’allestimento di numerosi campi profughi. Temiamo
poi per l’arrivo, nei mesi prossimi, dell’inverno. Caritas Iran, con il nostro supporto,
è già in contatto con l’autorità locali proprio per trovare siti dove rilocare, temiamo,
migliaia di persone.
D. – In generale, l’Iran è aperto agli aiuti internazionali
in queste circostanze?
R. – Noi abbiamo collaborato con loro nel ’90 e poi
nel 2003, soprattutto dopo il terremoto di Bam e quello di Zarand è stato possibile
collaborare, evidentemente stando alle loro condizioni, cioè nella programmazione
complessiva che fa il governo locale insieme alle agenzie dell’Onu. Sono condizioni
precise alle quali bisogna sottostare, però è stato possibile collaborare occupandoci
soprattutto delle fasce più deboli; penso soprattutto a coloro che hanno subito traumi
alla spina dorsale e quindi gente che poi di fatto risulterà invalida per tutta la
vita.
D. – Qual è l’entità dei danni? Si parla di 110 villaggi colpiti, alcuni
dei quali sono stati spazzati via a causa delle infrastrutture fatiscenti…
R.
– Sì, è un Paese dove la prevenzione è molto limitata, cioè la costruzione di edifici
antisismici. Purtroppo non è stato fatto molto negli ultimi anni e quindi i villaggi
colpiti sono numerosissimi. Raggiungere i villaggi più isolati sarà molto difficile.
Quello che prevediamo è un lavoro molto lungo, molto intenso, molto ampio.
D.
– Quali sono le persone più colpite?
R. – In questo momento è impossibile dirlo,
però, generalmente, le persone che vivono più a casa sono proprio donne e bambini
e quindi anche negli altri terremoti in Iran queste persone sono state le più colpite.
In questa circostanza, nelle zone rurali, zone tradizionali, è molto probabile che
sia ancora così e bisognerà fare un lavoro di carattere culturale per accostarsi a
queste persone con discrezione, aiutando soprattutto coloro che hanno più bisogno.
D.
– Il governo ha già annunciato la fine delle operazioni di soccorso ma da ieri pomeriggio
sono seguite altre 80 scosse di assestamento. Quanto potrà durare l’emergenza?
R.
– Temiamo che la fine delle operazioni di soccorso non sia tale. Lo sciame sismico
tipico di queste situazioni molto probabilmente implicherà un lavoro di emergenza,
quindi aiuti umanitari, viveri, soprattutto medicinali e interventi di squadre sanitarie,
che dovrà durare a lungo. Per gli standard internazionali generalmente queste operazioni
durano almeno tre mesi.