Siria: scontri a Damasco e Aleppo, verso la nomina di Brahimi a inviato speciale
In Siria gli scontri riprendono a Damasco e ad Aleppo, le due principali città del
paese. Visita di Hillary Clinton a Istanbul per discutere della crisi siriana. Sullo
stesso tema si riuniranno oggi a Gedda in Arabia Saudita i ministri degli Esteri arabi.
Il servizio di Marina Calculli:
Un’altra giornata
di bombardamenti intensi nel cuore di Damasco rende sempre più incerta la pretesa
del regime di controllare la capitale. D’altra parte è stata la stessa agenzia governativa
SANA a dare notizia di una bomba collocata da presunti “terroristi” nella zona di
al-Marije, non lontano dal Four Seasons, un albergo spesso frequentato dalle delegazioni
internazionali. Nel nord di Damasco invece sono stati rapiti dai ribelli quattro dipendenti
della tv di stato al-Ikhbaria. L’offensiva delle forze di opposizione è ripresa però
anche ad Aleppo. Dopo la ritirata strategica degli ultimi giorni, i ribelli tentano
di recuperare il controllo della città. L’arcivescovado armeno-ortodosso è stato danneggiato.
Il segretario di Stato americano Hillary Clinton, di ritorno da un viaggio in Africa,
ha incontrato ieri a Istanbul il presidente turco Abdullah Gul e alcuni gruppi dell’opposizione
siriana, promuovendo un gruppo di lavoro tra America e Turchia. La Casa Bianca ha
disposto nel frattempo oltre 5 milioni e mezzo di dollari di aiuti umanitari mentre
l’ex segretario alla difesa Cohen si è detto certo che l’America si sta preparando
ad imporre una no fly zone sulla Siria.
La nomina del successore di Kofi Annan
nel ruolo di inviato speciale sarà dunque al centro del vertice di Gedda. Il nome
più probabile è quello dell’ex ministro algerino Lakhdar Brahimi. Davide Maggiore
ha chiesto a Ugo Tramballi, inviato del “Sole 24 Ore”, quali prospettive apre
questa scelta:
R. - Brahimi
è una persona degnissima come tra l’altro lo era Kofi Annan. Il problema non è la
persona, l’incarico. Il problema è l’obiettivo. L’obiettivo non lo raggiungerà Brahimi
come non lo ha raggiunto Kofi Annan, perché le parti sul campo non hanno alcuna intenzione
di aderire, nei fatti, alle richieste, al tentativo di accordo sponsorizzato dalle
Nazioni Unite. Continuano sul campo, a fare la loro guerra.
D. - Neanche l’esperienza
precedente di Brahimi, in conflitti come quelli dell’Iraq e dell’Afghanistan, può
essere un aiuto in questo senso?
R. - Brahimi ha avuto qualche piccolo successo
in Afghanistan, ma il Paese oggi non è molto più stabile e molto più pacificato di
quanto lo fosse prima; qualsiasi proposta è destinata a fallire se non viene accettata
e accolta dalle parti in causa.
D. - D’altra parte, Hillary Clinton è in Turchia
per discutere della crisi siriana. Perché questo intervento diretto degli Stati Uniti?
R.
- Il fatto che il segretario di Stato Usa vada ad Istanbul - certamente anche a parlare
di Siria - non vuol dire un coinvolgimento diretto più di quanto gli americani siano
già coinvolti, devo dire con molta attenzione e con un certo distacco e con una certa
intelligenza politica. L’internazionalizzazione del conflitto è sotto traccia fin
dal suo inizio, e in qualche modo l’ha sancita il ministro degli Esteri iraniano,
ricordando che l’Iran non accetterà mai la caduta del regime siriano. In qualche modo,
certo, il viaggio di Hillary Clinton in Turchia è anche una risposta agli iraniani,
ma non credo che, almeno per il momento, nessun occidentale sotto qualsiasi forma
- Nazioni Unite, Nato, Stati Uniti, Unione Europea - abbia alcuna intenzione di essere
coinvolto militarmente nel conflitto siriano.
D. - Da parte statunitense non
si può quindi ipotizzare una sorta di "seconda linea", parallela o opposta, a quella
delle Nazioni Unite?
R. - Posto che esista un piano americano della risoluzione
del conflitto, o se decidessero di averne uno, non credo che sarebbe in conflitto
con quello delle Nazioni Unite. Ormai anche le Nazioni Unite hanno capito che non
c’è soluzione se Bashar al-Assad e il vertice dell’attuale regime non fanno un passo
indietro. Io credo che gli Stati Uniti abbiano tutto l’interesse a rafforzare un’eventuale
proposta dalle Nazioni Unite, che però al momento non c’è. Al momento c’è uno stallo
totale, nel senso che non è possibile alcun negoziato, e non è possibile alcun intervento
militare. La Siria ha una massa critica, ha una geopolitica completamente diverse
dalla Libia. Quindi ci dobbiamo aspettare - credo - un conflitto molto lungo. Del
resto la guerra civile libanese scoppiò nel 1975 e terminò nel 1990 con alti e bassi,
con guerre civili diverse all’interno della grande guerra civile libanese. Io credo
che dobbiamo aspettarci qualcosa di simile al conflitto libanese.
D. - Quale
impatto ulteriore può avere la crisi siriana sul resto della regione, e quanto vasto?
R.
- Diciamo che a Bashar Al Assad l’acqua è arrivata alla cintola. Nel momento in cui
l’acqua arrivasse al collo, gli Hezbollah libanesi e l'Iran soprattutto, non potrebbero
accettare la caduta del regime di Assad o, quanto meno, il trasferimento della Siria
nel fronte non dico tanto occidentale, quanto quello sunnita. Questo potrebbe, in
ogni momento, provocare un conflitto regionale.