Darfur: 25 mila sfollati in fuga dagli attacchi delle milizie favorevoli a Khartoum
Nella regione sudanese del Darfur, le violenze degli ultimi dieci giorni hanno provocato
la fuga di 25 mila persone dal campo profughi di Kassab: lo rende noto l’Onu, secondo
cui anche le sedi di cinque organizzazioni umanitarie sono state attaccate durante
gli scontri, originati dalla morte di un funzionario locale. A tracciare un quadro
degli ultimi avvenimenti nell’intervista di Davide Maggiore, è Michele Luppi,
giornalista italiano, attualmente in Sud Sudan:
R. - Gli episodi
degli ultimi giorni, che hanno riguardato in particolare il campo sfollati di Kassab,
nel Nord del Darfur, sono legati a degli attacchi da parte delle milizie di janjaweed,
ovvero delle milizie nomadi, che nella regione del Darfur, hanno da sempre sostenuto
il regime, e anzi, hanno anche compiuto attacchi nei confronti delle etnie e dei gruppi
ribelli del luogo per conto di Khartoum. La cosa che colpisce è il fatto che queste
milizie abbiano potuto colpire in maniera indisturbata, un campo profughi dove vivevano
circa 30 mila persone. Comunque questo campo di sfollati doveva, in un certo senso,
essere protetto da quelle che sono le forze delle Nazioni Unite.
D. - Qual
è l’impatto di questa questione nell’area?
R. - Il problema è che abbiamo persone
che sono sfollate da anni, dal 2003-2004. È chiaro che questo ha delle conseguenze
anche sullo sviluppo dell’intera regione e sulla stabilità di tutti i governi vicini;
pensiamo al Sud Sudan, al Ciad...
D. - Ci sono stati, per quanto riguarda il
Darfur, diversi accordi di pace negli ultimi anni. Gli ultimi quelli di Doha, nel
2011. Cosa non funziona in questi accordi di pace?
R. - Gli accordi di Doha
hanno visto seduti intorno al tavolo solamente alcuni dei gruppi ribelli presenti
in Darfur, e a firmarli, il giugno scorso, è stato soltanto uno di questi. I gruppi
più attivi non hanno ancora firmato gli accordi di Doha. Tra l’altro, in questi accordi
è previsto che il governo centrale avrebbe dovuto iniziare anche una serie di operazioni
di sviluppo in Darfur, investendo circa 200 milioni di dollari, cosa che anche a causa
della crisi e della recessione, che ha colpito Khartoum dopo la secessione del Sud
dal Sudan, non è avvenuta. Quindi diciamo che quelle che sono anche le rivendicazioni
politiche, portate avanti dalle milizie degli anni duemila e da questi ribelli del
Darfur, non sono ancora state messe in atto da parte del governo di Khartoum. A questo
poi, si aggiunge l’instabilità provocata anche dai conflitti degli altri movimenti
ribelli, per esempio nel Sud del Sudan.
D. - Cosa potrebbe fare la comunità
internazionale in questo senso, per aiutare una transizione verso la pace?
R.
- Diciamo che la comunità internazionale sta premendo perché gli altri gruppi ribelli
che non hanno ancora firmato gli accordi di Doha si siedano al tavolo. Per la fine
dell’anno, dovrebbe tenersi una grande conferenza dei donatori, proprio per cercare
di avviare un reale sviluppo del Paese. Il problema è che la questione del Darfur
è abbastanza legata a tutto quello che è il clima che oggi si respira tra Nord e Sud
Sudan. Quindi diciamo che tutto quello che avverrà nel Paese, sarà - ed è - legato
a quelli che sono gli accordi in corso tra Nord e Sud Sudan circa i nodi irrisolti
dell’indipendenza del Sud; quindi non solo il petrolio, ma anche i confini e quelli
che sono i diritti di cittadinanza. Quindi, in un certo senso, bisogna anche aspettare
di cercare di capire se ci sarà e quale sarà il tipo di accordo su tutte queste questioni
ancora sospese tra Khartoum e Juba, e vedere poi come la situazione potrà cambiare
anche in Darfur. Diciamo che questa è un po’ una situazione di attesa. Non bisogna
dimenticare che proprio negli ultimi mesi, la violenza in Darfur è tornata dopo che
negli anni scorsi c’era stato un progressivo calo, e proprio in concomitanza con la
crescita della tensione tra il Nord e il Sud Sudan.