Messaggio del cardinale Piacenza ai sacerdoti dell'Ecuador
Vivere la vocazione sacerdotale come una scelta di sequela radicale di Cristo, sapendo
che essa è un impegno totale e definitivo della propria vita per Lui e per l’annuncio
fedele della Sua Parola. È l’esortazione contenuta nel messaggio che il card. Mauro
Piacenza, Prefetto della Congregazione per Clero, ha inviato ai sacerdoti diocesani
dell’Ecuador, riuniti fino a ieri a Quito per il loro V Incontro nazionale. “Il Signore
- si legge nel testo - vi chiama ad essere pastori ed è essenziale non dimenticare
che essere investiti di questa grande responsabilità non può dipendere dal merito
individuale”, poiché ”si tratta di un dono assolutamente gratuito, da vivere nella
persona del vero e unico Pastore che è Cristo il quale ci ama e ci chiede di imitarlo”.
Tra le tre funzioni fondamentali del sacerdozio ministeriale il messaggio ricorda
in primo luogo l’esercizio fedele del munus sanctificandi attraverso la celebrazione
dei Sacramenti. Si tratta, sottolinea, di una funzione che “deve vedere impegnate,
quasi consumate, le nostre migliori energie apostoliche”. Essa “non è affatto estranea
alla missione”, poiché “l'opera salvifica di Dio si realizza proprio attraverso la
santificazione del Suo popolo”, una verità “troppo spesso erroneamente trascurata”
oggi. Non meno importante il Ministero della Parola che è una parte essenziale del
munus docendi ricevuto dallo Spirito Santo con il Sacramento dell’Ordine.
“La nuova evangelizzazione - afferma il card. Piacenza - invita tutti ad un impegno
sempre rinnovato nell’apostolato e nell’annuncio”. Il mandato del Signore agli Apostoli
è, in questo senso, esplicito e inequivocabile: "Andate in tutto il mondo e predicate
il Vangelo ad ogni creatura" (Mt 16, 15-16). Un altro impegno fondamentale assunto
dal sacerdote è, infine, quello della fedeltà al proprio vescovo: “Pur non essendo
vincolato da un voto solenne di obbedienza, il sacerdote ordinato pronuncia la ‘promessa’
di ‘filiale rispetto e obbedienza’ verso il proprio ordinario e i suoi successori.
In un'epoca come la nostra segnata dal relativismo e da vari liberalismi - osserva
il card. Piacenza - questa promessa di fedeltà appare sempre più incomprensibile alla
mentalità oggi dominante”, che la vede “come una diminutio della dignità e
della libertà umana, come un anacronismo tipico di una società incapace di un’autentica
emancipazione”. Ma “noi che viviamo l'obbedienza autentica, sappiamo che non è così:
l'obbedienza nella Chiesa non è mai contraria alla dignità e al rispetto per la persona,
non deve mai essere considerata come una sottrazione di responsabilità o un’alienazione”.
Essa. conclude il messaggio, significa invece “potere rimanere nella verità che è
Cristo, presenti e operanti nel suo corpo vivo che è la Chiesa”.(A cura di Lisa
Zengarini)