Londra 2012. "Sconforto ma attenzione all'uomo", così don Lusek sulla vicenda Schwazer
Mancano due giorni alla fine delle Olimpiadi di Londra 2012. Il medagliere italiano
si arricchisce di altri 3 bronzi, tra cui quello di Martina Grimaldi nella 10 km di
nuoto di fondo. Il riconoscimento è stato dedicato dalla sportiva alla sua Regione,
l’Emilia, duramente colpita dal recente sisma. Quinto posto "storico" nel K1 500mt
femminile di canoa per Josefa Idem, 48 anni, che annuncia: “mi fermo qui”. Accanto
alle immagini di gioia e felicità per le vittorie conseguite da tanti atleti, ci sono
le lacrime del marciatore italiano Alex Schwazer che, in una conferenza stampa ha
chiesto scusa per aver fatto uso di sostanze dopanti. Sulla vicenda Benedetta Capelli
ha chiesto un commento a don Mario Lusek, cappellano della spedizione olimpica
azzurra, raggiunto telefonicamente a Londra:
R. – Io credo
che il buio sia sempre in agguato nel cuore dell’uomo. Ci sono momenti in cui si smarrisce
quel senso di luce che magari si è portato avanti nel corso degli anni. Credo che
Alex Schwazer abbia subito proprio questo. Ammirato da tutti, sicuramente anche invidiato,
ma nello stesso tempo anche lui con le sue fragilità, con le sue ansie, con le sue
paure. Questo ci fa dimenticare un aspetto che io amo sempre rimarcare: gli atleti
che sono alle Olimpiadi in fondo sono giovani, con tutto quello che è tipico di una
condizione giovanile. A volte non riescono a sopportare né il senso del limite né
tantomeno la paura. Eppure la marcia poteva essere una metafora nell’evitare scorciatoie
pericolose per arrivare a quelle mete per cui si è lottato e per cui ci si impegna.
Quindi l’amarezza è la reazione più diffusa, l’amarezza e lo sconforto perché appunto
la persona è ammirata ma nello stesso tempo anche la tenerezza, chiamiamola così,
l’attenzione perché non vada perso l’uomo.
D. – Negli anni quante confessioni
di debolezza ha raccolto?
R. – Senza quantificare… Ci sono confessioni di debolezza…
Io ricordo qualcuno che voleva anche abbandonare l’esperienza perché all’origine c’era
una situazione personale di tensione, di fragilità… Sono cose che vanno affrontate
ma c’è bisogno di qualcuno con cui aprirsi e confidarsi. Penso che la figura del cappellano
abbia anche questa funzione di vicinanza, di prossimità, di amicizia, e non solo di
testimonianza di fede ma anche di compagnia. Io amo proprio rimarcare questo: c’è
questa presenza e questa presenza va utilizzata anche per un confronto, per un dialogo,
per un approfondimento, per ritrovare se stessi.
D. – Di contro dobbiamo ricordare
le tante immagini di queste Olimpiadi di Londra. Per restare in Italia la determinazione
di Josefa Idem ma anche gli abbracci, le strette di mano, tra persone diverse e lontane…
R.
– Sicuramente quello che hai detto è verissimo, tra gli atleti italiani sono moltissime
le immagini di questa festa continua che si sperimenta. La maggior parte delle esperienze
sono state tutte altamente significative, anche dal punto di vista religioso, perché
si sono incontrate persone con una ricerca veramente motivata e che, oltre a essere
uomini di sport, sono uomini di fede. Ho in mente volti, persone, la stessa medaglia
d’oro Daniele Molmenti ha voluto rimarcare la sua identità di friulano credente, di
friulano cristiano. Il clima è quello della festa, della gioia, della convivialità,
del stare gomito a gomito con le diversità e non sentirsi lontani ma sentirsi partecipi
della stessa storia, della stessa avventura, con la stessa tensione interiore dentro.
D.
– Che cosa lasceranno le Olimpiadi di Londra nel cuore degli atleti? Questi Giochi
sono stati diversi dagli altri Giochi del passato?
R. - Erano contesti diversi.
Io ho vissuto l’esperienza di Pechino che era totalmente diversa da questa perché
era un mondo che si apriva agli altri mondi e quindi con tutte le paure di questo
tipo di aperture. Qui siamo in una nazione, l’Inghilterra, dove addirittura siamo
alla terza Olimpiade, con una tradizione alle spalle e quindi con un vissuto sportivo
e con una multietnicità diffusa. Girando per Londra ci accorgiamo che è una città
multietnica, pluriconfessionale, dove le differenze ci sonoda tempo e forse
il simbolo delle Olimpiadi è questo: la conferma che c’è un mondo globalizzato dove
è possibile intendersi, capirsi, rispettarsi e trovare anche le strade di percorsi
comuni.