Siria: ancora scontri ad Aleppo. L'Onu lascia la città. Appoggio dell'Iran ad Assad
In Siria ieri è tornato a parlare il presidente Assad assicurando la mano dura contro
i terroristi che si annidano nel Paese. Si rinforza l’asse Damasco-Teheran dopo la
morte di 3 pellegrini iraniani nelle mani dei ribelli. E mentre cresce l’emergenza
umanitaria, ad Aleppo la battaglia va avanti e proprio l’insicurezza ha costretto
gli osservatori della missione Onu a lasciare la città. Quasi 160 le vittime di ieri,
ad Homs in un attacco sono stati uccisi cristiani e alawiti. Il servizio di Marina
Calculli:
Una situazione
grave in cui molti auspicano un’immediata azione internazionale. Lo sottolinea il
gesuita padre Paolo Dall’Oglio, costretto a giugno a lasciare il Paese dopo che le
autorità siriane non gli avevano rinnovato il permesso di soggiorno. Solo qualche
giorno fa il monastero di Deir Mar Musa, nel quale ha vissuto per anni, è stato attaccato
da uomini armati. Amedeo Lomonaco ha raggiunto telefonicamente a Washinghton, negli
Stati Uniti, padre Dall’Oglio impegnato in una serie di conferenze rivolte
ai siriani all’estero:
R. - È il momento dell’intervento Onu? Sicuramente
sì, perché il rischio che cada il regime e continui la guerra civile, è molto reale.
È responsabilità della Comunità internazionale quella di disinnescare questo rischio,
proteggendo le popolazioni civili contro eventuali massacri e, comunque, riaprendo
la possibilità di un negoziato nazionale che vada verso la pacificazione del Paese
e, nella fase costituzionale, che offra alle componenti della società siriana un posto.
D.
- Un contesto geopolitico in cui hanno un peso rilevante anche le posizioni di Russia
e Iran…
R. - La Siria non può essere utilizzata per conflitti regionali e geostrategici
più complessi, dove ci si vendica dell’Iran in Siria, o si dà una lezione alla Russia
in Siria. Ci si sarebbe dovuti aspettare un negoziato più consistente con i russi
e con gli iraniani per ottenere una Siria neutrale e davvero democratica, un po’ come
in Austria dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’Austria non era schierata né con la
Nato né con il blocco sovietico, però era veramente democratica. Questa è la Siria
che vogliamo: una Siria non schierata e neutrale nei giochi geostrategici e pronta
a svolgere il suo ruolo con quell’armonia intercomunitaria e interreligiosa che le
è propria e in una democrazia costruita su una società civile matura. Allora poi la
Siria avrà un ruolo positivo in tutta la regione, e per la pacificazione anche tra
gli arabi ed Israele che tutti vorrebbero si realizzasse.
D. - Dunque, la guerra
civile, con divisioni sempre più laceranti, potrebbe continuare anche dopo l’eventuale
caduta del regime di Assad…
R. - Questa guerra civile potrebbe continuare anche
dopo, perché gli uomini del regime si potrebbero radunare, rafforzare, fortificare
ed arroccare nella zona ad Ovest del fiume Oronte protetti, eventualmente, da Iran
e Russia. È chiaro che a questo punto, l’Onu dovrebbe intervenire per proteggere la
popolazione e fare in modo che il negoziato fra le popolazioni - non con il regime
- porti ad un accordo nazionale e salvi l’unità del Paese e lo sforzo democratico.
Non è immaginabile nessun compromesso sul fatto che si passi da un regime ad una democrazia
matura.
D. - Domenica scorsa uomini armati hanno saccheggiato, fortunatamente
senza provocare vittime, il monastero di Mar Musa, da lei rifondato nel 1982. Un episodio
che si inserisce nella profonda incertezza in cui vive l’intero Paese...
R.
- È stato un furto. Sono bande armate di contrabbandieri sul confine libanese. La
situazione della zona, fra Damasco ed Homs, è di grave anarchia sul terreno. Quindi
è certamente una grande ferita per me, una grande preoccupazione ed anche una preoccupazione
per il futuro dei cristiani in tutta la regione. Quando c’è anarchia, è chiaro che
le popolazioni soffrono tutte e i cristiani che sono in minoranza si sentono schiacciati
tra questi ‘vasi di ferro’ e, quindi, tendono ad andarsene. Il rischio è questo. Ad
Aleppo, a Damasco, ad Homs se ne sono già andati, ed altrove purtroppo, sono stati
armati dal regime. Quindi preghiamo per i nostri fratelli cristiani in Siria, preghiamo
per tutti i siriani. Dobbiamo recuperare anche quelli che erano con il regime, e che
adesso si risveglino da un brutto sogno, e capiscano che è una pagina che va voltata
e che bisogna costruire insieme una Siria nuova.
D. – Padre Dall’Oglio, la
situazione attuale, al momento, le impedisce di tornare in Siria, ma probabilmente
il desiderio di rientrare nel Paese è più forte della paura...
R. - Io spero
di tornare prestissimo in Siria. Ma per me, l’essenziale è di non mettere in pericolo
nessuno con la mia presenza. Per ora faccio un lavoro a tempo pieno, a favore della
riconciliazione tra i siriani. Il dialogo tra i siriani all’estero può avere una eco
molto positiva sul futuro del Paese. Ho visto tante comunità siriane all’estero in
giro per l’America del Nord. Lo farò anche in Europa e spero che questo possa avere
un effetto. Comunque, spero di tornare insieme con tanti che in questi mesi difficili
sono usciti dal Paese. Spero di tornare prestissimo in Siria per ricostruire.
D.
– Quali sono i frutti di queste conferenze rivolte ai siriani all’estero, alle quali
lei sta partecipando in questi giorni negli Stati Uniti?
R. - La cosa più consolante
è che, qualche volta, questi siriani all’estero, che non riuscivano a parlarsi, perché
in fondo sono schierati, come all’interno del Paese, tra chi è con il regime e chi
è decisamente contro il regime, finiscono con il trovare un dialogo in un contesto
diverso, in cui non c’è la censura, la prigione, la tortura, la paura. Anche coloro
che sono con il regime hanno paura del regime. Anzi qualche volta sono quelli che
hanno più paura di tutti, persino qui in America. Quando riescono ad aprirsi e a parlare
tra loro, si riconoscono come cittadini di un Paese nuovo e in un unico desiderio
di costruirlo insieme.