103 mila euro per le famiglie povere, raccolti in occasione della visita del Papa
ad Arezzo
Centotremila euro per i poveri: è quanto raccolto dalla diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro
in occasione della visita del Papa, lo scorso 13 maggio. La somma era stata donata
a Benedetto XVI perché fosse destinata ad opere di carità. Il Papa, venuto a conoscenza
delle difficoltà economiche attraversate dalla popolazione locale, ha disposto che
il ricavato della coletta sia impiegato per le famiglie in difficoltà. Quali problemi
vivono queste famiglie? Paolo Ondarza lo ha chiesto a donGiuliano
Francioli, direttore della Caritas diocesana di Arezzo- Cortona-Sansepolcro:
R. - Le difficoltà
riguardano chi - non avendo più lo stipendio, oppure, essendo in cassa integrazione
– non riesce a pagare le bollette, le rate dell’affitto, le spese primarie di ogni
famiglia.
D. - Si tratta di famiglie, quelle che si presentano ai vostri sportelli,
che mai in passato avrebbero pensato di rivolgersi a voi per chiedere aiuto…
R.
- Ci sono dei poveri che continueranno ad essere sempre poveri. Questa categoria di
povertà, che vien fuori adesso, ha bisogno anche di un’altra attenzione, di un altro
rispetto, perché provano vergogna a trovarsi in condizioni disagiate, quando prima
forse potevano avere tutto. C’è un’attenzione particolare e rispetto della dignità
della persona, che noi siamo chiamati ad avere. Si stanno presentando ai centri di
ascolto soprattutto famiglie locali, sono spesso famiglie di una fascia di età molto
giovane.
D. - Questi 103 mila euro raccolti, come saranno impiegati?
R.
- Le persone che hanno bisogno si presentano da noi e documentano di avere bisgno
di aiuto: gli facciamo un accredito fino ad un massimo di 500 euro una tantum, oppure,
diamo loro aiuti dilazionati in qualche mese, per necessità impellenti.
D.
- La raccolta di 103 mila euro dimostra che, nonostante le difficoltà economiche,
gli abitanti delle diocesi sono attenti alle necessità dei più poveri…
R. -
Questo è un percorso pedagogico che credo sia il punto più forte della Caritas: se
la carità non entra nell’animo, nella vita vissuta della comunità, rimane l’elemosina.
Noi dobbiamo fare - io la chiamo così - “cultura della carità”: questo deve diventare
un percorso educativo-formativo per noi che facciamo carità a sostegno degli altri,
ma anche per chi riceve la carità perché si senta stimolato ad un impegno per non
rimanere nella povertà, nella miseria e nell’abbandono, proprio perché sa di poter
contare su fratelli cristiani che gli danno una mano e lo aiutano.
D. - Quella
“cultura della carità” si richiama a quanto avveniva nella Chiesa nascente, quando
ai piedi degli Apostoli veniva deposto il ricavato della vendita dei beni, perché
fosse distribuito a ciascuno secondo il bisogno…
R. - Sì, questo è stato proprio
il nostro gesto, il nostro segno: due giovani consegnarono proprio a Papa Benedetto
XVI questo dono della diocesi. Il Papa poi ha scelto di devolverlo per le necessità
e le povertà delle famiglie della nostra diocesi. Quindi si ripete quel gesto di carità
della Chiesa, che forma veramente un "cuor solo ed un’anima sola, da questo ci riconosceranno".
Oggi sono tempi in cui questa profezia deve tornare, questa Chiesa ritorni ad essere
veramente il segno della comunione nella comunità.
D. - In questo momento di
crisi, gesti - come questa donazione - sono segni concreti di speranza cristiana…
R.
- La speranza si fonda su cose concrete, non è un sogno, un’utopia senza realizzazione.
La concretezza diventa veramente segno di speranza, perché quando tu dai una mano
a uno che ha bisogno gli dai concretezza di speranza ed egli può andare avanti perché
ha qualcuno accanto, su cui poter contare.