Siria: diserta il premier. Scontri ad Aleppo con decine di vittime
In Siria è in corso un genocidio. Il Paese sta vivendo il suo periodo più difficile,
con crimini di guerra e barbari omicidi. Queste le parole con cui il premier siriano
Rihad Hijab, dopo essere fuggito dal Paese, ha annunciato la propria adesione alla
rivolta contro il regime di Damasco. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
La defezione
del premier siriano – ha detto il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi - dimostra
“il progressivo isolamento del presidente Assad” ed è un segnale chiaro “di quanto
la violenza verso il suo stesso popolo stia spingendo il regime su un percorso di
inesorabile implosione”. Per il portavoce della Casa Bianca il regime sta perdendo
la presa e sta vacillando. Dal governo siriano arrivano altri segnali di cedimento.
Avrebbe cercato di disertare anche il ministro delle finanze Jleilati che, secondo
fonti dell’opposizione, sarebbe stato arrestato prima della fuga. Il regime cerca
comunque di ricompattarsi ed il presidente Assad, che di ora in ora vede crescere
di numero e di livello la schiera dei dissidenti, ha designato premier ad interim
Ghalawanji, già ministro delle amministrazioni locali. Il Paese continua, intanto,
ad essere scosso da violenze. Gli insorti hanno affermato che tre dei 48 ostaggi iraniani,
rapiti ieri alle porte della capitale, sono morti in seguito a bombardamenti governativi.
Ad Aleppo, città assediata da 20 mila soldati, sono decine le vittime. Si combatte
anche a Damasco, dove questa mattina un’esplosione ha devastato il terzo piano dell'edificio
che ospita la sede della televisione di Stato. Uomini armati hanno infine saccheggiato
il monastero il di Mar Musa, a nord di Damasco, senza causare vittime.
La defezione
del premier e le continue diserzioni sono un duro colpo per il regime di Damasco.
Molti soldati stanno aderendo alla rivolta antigovernativa, come sottolinea al microfono
di Amedeo Lomonaco il giornalista Cristiano Tinazzi che si trova in
Siria, non lontano dalla città di Aleppo:
R. - Il governo
siriano sta perdendo dei pezzi importanti. In questo momento, molti soldati stanno
abbandonando l’esercito regolare e si stanno unendo ai ribelli. Chiaramente resta
il nucleo duro dei soldati allawiti, che rimarranno fino alla fine con Assad, perché
sanno che se cade Assad e se cade il governo, anche loro potrebbero fare una brutta
fine.
D. - Attualmente ti trovi alle porte di Aleppo. Qual è la situazione?
R.
- Sono in un paese, alla periferia di Aleppo, perché da qui partirà la brigata locale
che si recherà ad Aleppo stanotte, verso mezzanotte. Andremo con loro, ma non si sa
ancora in che quartiere di Aleppo, perché è tenuta segreta la notizia. Ci poteranno
in città, dove rimarremo due giorni.
D. - Quindi c’è un movimento da parte
di abitanti di vari paesi, che confluiranno verso Aleppo?
R. - Sì, da ogni
zona sunnita e da ogni paese che è sotto controllo dei ribelli stanno partendo per
andare ad Aleppo e poi confluiscono in città.
D. - Si ha la sensazione che
queste siano ore cruciali?
R. - Sì, anche se dicono comunque che la battaglia
potrebbe durare settimane. Certamente, qui c’è molto ottimismo, anche se a me sembra
quasi impossibile che delle persone che vanno con armi leggere, senza protezioni,
contro le cannonate possano riuscire a farcela… Però tutto è possibile!
D.
- Quindi la vera arma in più sono lo sfaldamento del governo e le diserzioni?
R.
- Sì, perché comunque contano sul morale dell’esercito. Ho parlato anche oggi con
un soldato - un comandante di un carro armato - che si è unito alla guerriglia e che
mi diceva: “Sono entrato nell’esercito per difendere il popolo e non per sparare sul
popolo!. Questa è una cosa che molti di noi non sono riusciti ad accettare. Tanti
non sono riusciti a scappare, perché non hanno trovato l’occasione, ma spesso quando
i soldati vanno in licenza non tornano più nelle basi”.
D. - Tu hai assistito
anche ad altre situazione analoghe, come in Libia. Trovi delle analogie o delle differenze?
R.
- Ci sono delle analogie, perché sicuramente la maggior parte dei combattenti sono
giovani: qui c’è una presenza discreta di combattenti stranieri, che sono venuti dalla
Libia e da altri Paesi a combattere, ma il 90 per cento sono siriani. Sono siriani
che vogliono un Paese nuovo, che vogliono la libertà e cercano di combattere un regime
che ormai è tirannico. Mi è capitato anche di assistere a bombardamenti su abitazioni
private e si tratta anche di un villaggio che non era ostile! Sembra quasi che l’esercito
governativo spari alla rinfusa, quasi a punire collettivamente le comunità che si
sono ribellate… Ci sono, però, differenze sul campo degli armamenti rispetto alla
Libia, perché qui non sono presenti gli Stati occidentali. Chiaramente non c’è copertura
aerea e i soldati dell’esercito libero hanno armi leggere, qualche tank che hanno
rubato alle forze governative, ma non ci sono armamenti che possano abbattere elicotteri
caccia.