Caritas in prima linea per aiutare i "nuovi poveri", la testimonianza di mons. Feroci
Nella prima metà del 2012 gli uffici della Caritas diocesana di Roma hanno registrato
un aumento delle e-mail, provenienti dalla Capitale e dalla provincia, contenenti
richieste d'aiuto. Disoccupati disperati, pensionati indigenti, mamme che non hanno
i mezzi per allevare i propri figli. E' la fotografia di una città afflitta dalla
crisi economica alla quale la Caritas romana risponde con un incremento di solidarietà,
come spiega il suo direttore, mons. Enrico Feroci, al microfono di Fabio
Colagrande:
R. - Sono aumentati
non solamente i poveri, quelli che sono per strada, quelli che – con una parola brutta
– chiamiamo “barboni”, ma sono aumentati i disagi delle famiglie, delle persone che
hanno una certa cultura... Abbiamo voluto far comprendere come oggi - qui nella nostra
direzione Caritas - arrivano non solamente lettere scritte a mano da persone che magari
non sanno bene l’italiano, ma arrivano tantissime e-mail di persone singole, di famiglie,
di donne, donne sole che ci chiedono aiuti per la casa, per la famiglia perché non
riescono ad arrivare alla fine del mese, ma soprattutto per i bambini. E’ toccante
una e-mail di una signora che diceva proprio questo: "Vorrei avere la possibilità
di poter dare un pasticcino a mio figlio per il giorno del suo compleanno", "vorrei
avere il latte per mio figlio piccolo". Sono cose che ti lasciano veramente senza
parole, sconcertato, perché oltretutto le difficoltà sono tante. E' difficile rispondere
in maniera adeguata a queste grandi esigenze e bisogni.
D. – Il genere di
utenti che si rivolgono ai vostri centri di ascolto, dunque, è molto vario…
R.
– Molto, molto vario. La fila delle persone che vengono a chiedere cibo si è allungata
ed ingrandita. Proprio questa mattina, una giornalista ci ha inviato una persona anziana
che ci chiedeva aiuto: "Per me e per mia figlia, non abbiamo nulla da mangiare aiutateci".
Sono gli anziani soprattutto a chiedere aiuto, quelli che rimangono soli, che rimangono
direi quasi murati dentro le proprie case, i propri ambienti. Questo è quello che
vorremmo sottolineare.
D. – Come cercate concretamente di rispondere a questo
tipo di richieste?
R. – Abbiamo intensificato il più possibile i pasti distribuiti,
poi i pernottamenti… La cosa bella che vorrei dire - e ringrazio il Signore per questo
– è che durante l’estate, nonostante le ferie, ci sono tante persone che impegnano
alcuni dei loro giorni per mettersi a disposizione dei poveri. A Roma, abbiamo messo
in piedi una foresteria e ne stiamo mettendo in piedi un’altra, per accogliere gruppi
di giovani che vengono da tutta Italia, anche dall’estero. Trascorrono una settimana
a Roma e si mettono a servizio delle nostre mense. Questo mi sembra che possa aiutare
le persone a rendersi conto che ci sono questi problemi e questo deve diventare anche
il nostro primo impegno. Io credo che l’opera della Chiesa di Roma è solo un segno
- forse anche insufficiente – però noi dobbiamo assolutamente esser persone che sanno
dire agli altri che: “Se tutti ci rimbocchiamo le maniche, se tutti spezziamo il nostro
pane, molta più gente mangia e molta più gente sta bene”. Dovremmo, quindi, continuamente
gridare: "Aprite gli occhi. Guardatevi intorno, rendetevi conto di quello che
succede, non solamente quello che luccica". C’è anche altro e dentro quest’altro c’è
un’umanità di una ricchezza straordinaria. Chi riesce a penetrare il cuore dei poveri
si rende conto di quanta ricchezza c’è dentro il loro cuore e quanto ci fa bene riflettere
– a noi che non abbiamo queste difficoltà – su quello che è la difficoltà degli altri.