Nord Sudan: torna la calma in Darfur, ma il Paese rischia una nuova secessione
Nella regione sudanese del Darfur torna la calma dopo le proteste dei giorni scorsi
che hanno provocato morti e feriti nella capitale Nyala. Intanto, scade oggi il termine
che le Nazioni Unite hanno dato a Nord e Sud Sudan per risolvere le controversie che
ancora li dividono. Un accordo complessivo è tuttavia quasi impossibile da raggiungere.
Davide Maggiore ha chiesto a Michele Luppi, giornalista italiano attualmente
in Sud Sudan, quali sono i più probabili scenari futuri:
La sensazione
è che, tra Nord e Sud Sudan sia in corso un vero e proprio braccio di ferro, in cui
nessuna delle due parti vuole essere quella che molla per prima. Il problema è che
le conseguenze economiche e sociali per entrambi i Paesi, in questo momento sono davvero
drammatiche. Quindi è chiaro che la comunità internazionale, soprattutto l’Unione
Africana, spingerà per proseguire le trattative e sembra che nelle ultime settimane
qualche piccolo passo avanti ci sia stato. Le parti rimangono comunque molto lontane
su praticamente tutti quelli che sono ancora i nodi aperti: negli ultimi giorni la
questione del petrolio è quella su cui sembra si sia fatto qualche passo in avanti.
È chiaro che bisognerà aspettare almeno alcune settimane se non mesi prima che si
possa arrivare ad una definizione concreta.
D. – Si può escludere, nel caso
del fallimento delle trattative, una tentazione militare da una delle due parti, visto
che il conflitto comunque prosegue, anche se a bassa intensità?
R. – Prosegue
soprattutto il conflitto all’interno del Nord Sudan, diciamo che è quindi una guerra
per certi versi “per procura”: è combattuta da milizie che stanno in Nord Sudan, ma
al confine tra i due Paesi, e che si stanno scontrando in questo momento, contro il
governo di Khartoum. Parlare di fallimento sarebbe anche un po’ semplice, nel senso
che quando il 2 maggio - con la risoluzione delle Nazioni Unite - si era stabilita
questa deadline di 3 mesi, entro cui trovare un accordo, era una decisione
apparsa fin dall’inizio difficilmente realizzabile. Se noi pensiamo che questi sono
gli stessi nodi che si trascinano dagli accordi di pace del 2005, era difficile ipotizzare
una definizione in 3 mesi. È chiaro che la situazione in aprile era veramente sul
punto di riportare ad una nuova guerra, quindi diciamo che si è riusciti a spegnere
la miccia, ma di fuoco - e la brace - ancora arde.
D. – Il Sudan del Nord si
trova a dover gestire oltre al conflitto in Darfur, anche quegli negli Stati del Sud
Kordofan e del Blue Nile, ma soprattutto anche proteste motivate dalla situazione
economica. Non c’è il rischio che lo Stato nord sudanese imploda e che ci siano, per
esempio, nuove secessioni?
R. – Questo credo sia il rischio più grande, ed
è un rischio di cui la comunità internazionale è conscia ed è conscio, secondo me,
anche il Sud Sudan. Ogni giorno che passa, la situazione in Nord Sudan diventa da
un punto di vista economico più difficile e le proteste degli ultimi mesi stanno crescendo.
Con la chiusura del confine tra nord e sud, tutti quelli che erano i traffici che
da nord portavano prodotti del Nord Sudan verso il Sud Sudan, si sono bloccati.
D.
– Si può parlare anche di possibili conseguenze sul governo di Omar Al-Bashir?
R.
– Assolutamente sì. Si trova in questo momento tra due fuochi: da un lato c’è un’opposizione
militare, che è quella di cui abbiamo già parlato e dall’altra parte c’è un’opposizione
politica, che è fatta sia da giovani che chiedono maggiori libertà – un po’ sulla
falsa riga di quelle che sono state le “primavere arabe” – sia da un’opposizione di
tipo islamista, quindi del suo ex alleato Al-Turabi. Diciamo che la situazione per
Bashir è estremamente difficile.
D. – Quale situazione può testimoniare invece
lei, che si trova dall’altra parte della frontiera, in Sud Sudan?
R. – Diciamo
che in questo momento il Sud Sudan sta vivendo due realtà differenti: da un lato ci
sono le regioni come quelle della capitale Juba, in cui l’indipendenza ha portato
comunque ad un grosso aumento di investimenti, ci sono molte costruzioni ed il Paese
sembra che stia anche un po’ cambiando volto – dall’altra parte ci sono le regioni,
quelle soprattutto degli Stati verso il confine, in cui la situazione è veramente
pesante. Non bisogna dimenticare che il Sud Sudan è un Paese in cui mancano infrastrutture,
in cui le infrastrutture le hanno costruite negli ultimi anni, quando dal 2005 c’è
stata una relativa stabilità; in cui la popolazione vive situazioni di estrema difficoltà,
in cui questo braccio di ferro tra nord e sud non fa che peggiorare la situazione.