NIGERIA. Il vescovo di Sokoto: Ci sono solo bande criminali dietro alle violenze in
Nigeria
In un'intervista a Oasis il vescovo di Sokoto, Matthew Hassan Kukah, smentisce
la tesi del conflitto interreligioso
SOKOTO - «Non abbiamo mai avuto una
crisi religiosa o una crisi derivata da cristiani o musulmani in lotta su questioni
religiose», ha dichiarato monsignor Matthew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto, Nigeria,
nel corso di un’intervista di Marialaura Conte pubblicata nei giorni scorsi sul sito
della Fondazione Oasis e ripresa dall’Osservatore Romano. Per il presule nigeriano
«i problemi della Nigeria, soprattutto la terribile violenza, non hanno niente a che
vedere con la religione. Qui, i problemi nascono dalla cattiva gestione delle risorse
del Paese e dall’incapacità del Governo di controllare la situazione». Secondo il
vescovo della diocesi di Sokoto, il cui territorio comprende la parte Nord Ovest della
Nigeria «non è corretto presentare i problemi d’oggi come conflitti tra religioni». A
proposito dell’attuale situazione che ha visto l’estendersi del conflitto dalla regione
del Delta fino a quella di Sokoto, il presule ha affermato che «è un errore pensare
che tutto ciò sia nato soltanto un paio d’anni fa». Facendo una breve cronologia degli
scontri, monsignor Kukah ha sottolineato che «prima di Boko Haram, abbiamo avuto altre
simili violenze nella regione del Delta del Niger. Prima ancora, altre violenze della
stessa natura nel Sud Est. Questa situazione ha caratterizzato gli ultimi vent’anni
o più, solo che la natura e il contesto continuano a cambiare». Per quanto riguarda
il gruppo terroristico protagonista dei recenti attentati nella sua diocesi, il vescovo
di Sokoto ha precisato che «Boko Haram è un fenomeno nuovo ed estraneo. Non ha niente
a che fare con la religione, con i cristiani o con i musulmani. Il fatto che loro
attacchino le chiese con una violenza fuori del comune, induce i media a pensare che
siano contro i cristiani. Ma non è vero. Uccidono cristiani, ma uccidono anche donne
e bambini, sia cristiani che musulmani. Sono dei criminali che attaccano le chiese,
le sedi dei media, le stazioni di polizia, i mercati... non fanno differenze». Sul
linguaggio di tipo religioso che i terroristi usano nei comunicati per rivendicare
gli attentati il presule ha notato che «la sola appropriazione di tale linguaggio
non rende la loro una criminalità religiosa, sotto nessun’aspetto. Tanto è vero che
hanno attaccato leader e istituzioni musulmane, hanno ucciso migliaia di musulmani,
certamente molti di più dei cristiani, se usiamo questa espressione. In quasi tutte
le circostanze in cui i cristiani sono stati attaccati, anche molti musulmani e civili
sono morti». Sulle prospettive di trovare una via d’uscita alla crisi attuale, per
il presule «la classe politica deve essere incoraggiata a trovare una soluzione a
ciò che è chiaramente un problema politico e non religioso. I leader delle comunità,
non necessariamente leader religiosi, devono essere incoraggiati a farsi carico della
situazione e impegnarsi in iniziative il cui scopo sia unificare le comunità. Se questo
succedesse, si contribuirebbe a edificare la fiducia pubblica, poiché non vi potrà
essere una soluzione di tipo militare, dato che la presenza militare esalta soltanto
la violenza». Sull’andamento della vita quotidiano nella diocesi di Sokoto, monsignor
Kukah ha affermato che «anche se può sembrare strano, qui la situazione è piuttosto
pacifica. Ho incoraggiato la gente a rimanere in allerta, ma abbiamo deciso di non
cambiare le abitudini, come gli orari delle messe e delle pratiche religiose a causa
della paura. Ho detto ai fedeli che “paura” non esiste nel vocabolario di nessun vero
cristiano. Quindi continuiamo a portare avanti i nostri normali doveri e compiti».
(L’Osservatore Romano)